Carosello: un fenomeno culturale che ha insegnato a sognare
Il regista Bonvicini, per dare autenticità al progetto, ha studiato i materiali originali dell’epoca: spot, bozzetti, prove, fotografie. Da quel lavoro emerge un mondo che oggi appare lontanissimo ma che continua a esercitare un fascino inspiegabile. Per vent’anni — dal 1957 al 1977 — Carosello ha scandito le serate degli italiani, diventando il confine tra la veglia e il sonno dei più piccoli: “A letto dopo Carosello”, la frase che in milioni di case segnava la fine della giornata. Eppure era molto più di un avviso ai bambini. Era un rito collettivo, un gesto condiviso che oggi non esiste più. Carosello standardizzò slogan e modi di dire, trasformandoli in patrimonio linguistico: “Basta la parola”, “E mo’ e mo’ Moplen!”, “Cosa c’ho scritto, Jo Condor?”.
Un omaggio a un’Italia che cresceva insieme alla sua tv
In quei vent’anni l’Italia cambiò pelle, gusti, economia, ambizioni. E Carosello registrò tutto questo, restituendo al pubblico un’immagine del Paese che, pur patinata, conteneva la sua identità. “Produceva stupore e comunità”, ricorda Bonvicini. Il film-tv ripercorre questo processo attraverso gli occhi di Laura e Mario, che attraversano litigate, passioni, allontanamenti e ritorni esattamente come il Paese attraversò tensioni e entusiasmi. “Ci metteranno vent’anni per unirsi davvero”, sintetizza Giacomo Giorgio. Lo stesso tempo in cui Carosello ha tenuto gli italiani davanti allo schermo, definendo uno dei capitoli più luminosi della nostra storia televisiva.
