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Famiglia nel bosco, il duro sfogo di Paolo Crepet

La scelta di vita tra i boschi sotto la lente

La situazione a Palmoli, con una famiglia che decide di staccarsi dal ritmo moderno per vivere immersa nel verde, ha diviso l’opinione pubblica. Da una parte c’è chi ammira il coraggio e la libertà di una scelta anticonvenzionale; dall’altra, chi teme per il benessere dei minori, sostenendo che la vicinanza ai servizi, l’istruzione e la socialità possano mancare o essere insufficienti.

Crepet si schiera decisamente con il diritto dei genitori a scegliere uno stile di vita diverso, ma non senza responsabilità. Il suo messaggio è chiaro: non si può usare l’assenza di una tv come pretesto per togliere i figli, soprattutto se il contesto familiare è sano, affettuoso, e i bambini hanno rapporti con altri coetanei.

Le possibili implicazioni sociali

Le parole di Crepet aprono una riflessione più ampia sul ruolo dello Stato nelle scelte educative e di vita delle famiglie. Fino a che punto lo Stato può intervenire per “proteggerle”? Qual è il limite tra protezione e paternalismo? E quali criteri sono davvero validi per valutare il benessere di un bambino?

In un’Italia (e un mondo) dove le famiglie alternative crescono e cercano modelli di vita differenti, queste domande diventano urgenti. Non basta difendere un’idea romantica della “vita naturale”: serve anche garantire che i diritti dei minori siano rispettati, ma senza scivolare in giudizi arbitrari basati su stereotipi.

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Il bisogno di un dibattito serio

Crepet ha chiesto “serietà”, ed è una provocazione che vale la pena raccogliere. Non si tratta solo di una vicenda isolata: è un campanello d’allarme su come giudichiamo le famiglie, come valutiamo il benessere dei bambini, e quali pregiudizi culturali continuiamo ad avere nei confronti di chi sceglie una vita fuori dagli schemi.

In questo dibattito, le parole dello psichiatra riaccendono la necessità di una riflessione profonda: non basta scandalizzarsi. Serve comprendere, dialogare, e poi decidere.

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