Le contestazioni di De Rensis sugli “errori/orrori” emersi nel fascicolo
Nel corso della puntata, il conduttore Giuseppe Brindisi ha assunto il ruolo di interlocutore critico, sottolineando come, secondo alcune ricostruzioni, gli errori individuati non avrebbero comunque alterato in modo decisivo l’esito del procedimento nei confronti di Alberto Stasi. Questa impostazione ha portato a una risposta particolarmente netta da parte dell’avvocato De Rensis. Il legale ha ringraziato la redazione che ha contribuito a evidenziare le criticità, ma ha contestato l’idea che tali elementi possano essere considerati marginali. La sua posizione è che la presenza di così numerosi errori, specie se emersi a distanza di anni, incida profondamente sulla valutazione complessiva delle indagini e sulla loro affidabilità. Questo il passaggio destinato a restare impresso, così come pronunciato in trasmissione: «Non condivido questo, ringrazio la redazione di ‘Gente’ per avere evidenziato tutti questi errori, ma suggerisco di tenere una pagina vuota, chissà che non avremo un altro errore con il telefono. Non ho notizie, ma chissà che la BPA non ci racconti che la cornetta possa essere stata staccata quando è avvenuto il delitto. Se alcune cose fossero emerse nell’immediatezza forse la dottoressa Muscio (la pm che aveva interrogato Stasi, ndr) avrebbe fatto un’altra ricostruzione investigativa. Ci si dimentica di dire che questa indagine è nata malata perché alcuni errori/orrori sono stati scoperti solo anni dopo».
Il riferimento agli “errori/orrori” è stato interpretato come una critica diretta alla fase iniziale dell’inchiesta, ritenuta dalla difesa viziata da lacune e ritardi nelle verifiche. In un contesto televisivo, tali affermazioni assumono un peso significativo, poiché raggiungono un pubblico ampio e contribuiscono a ridefinire la percezione del caso Garlasco, spesso generando reazioni di sconcerto e interrogativi sulla correttezza del percorso investigativo seguito.

Il contributo di Simonetta Matone sulla finestra temporale e sul metodo d’indagine
Accanto alla voce di Gian Luigi De Rensis, nel dibattito è intervenuta anche l’ex magistrato Simonetta Matone, spesso presente nei programmi televisivi in qualità di commentatrice di casi giudiziari complessi. Il suo intervento si è concentrato soprattutto su un aspetto tecnico-giuridico ritenuto cruciale: la cosiddetta finestra temporale di 23 minuti attribuita ad Alberto Stasi. Secondo Matone, proprio la scelta di fondare in modo rilevante il percorso processuale su questa finestra di tempo rappresenterebbe uno dei punti più problematici del caso. La critica si riferisce al rischio di costruire l’impianto accusatorio partendo da un intervallo orario ritenuto libero, anziché da un insieme di riscontri oggettivi che conducano progressivamente all’individuazione del responsabile.
Così Matone definisce il tema centrale, senza giri di parole: «L’errore più grave è stato scoprire che Alberto Stasi aveva una finestra temporale di 23 minuti libera, e su quella costruire il processo. Si è fatto l’esatto contrario di quello che andava fatto, ovvero trovare una serie di elementi per arrivare all’identificazione del responsabile». Le considerazioni dell’ex magistrato toccano non solo l’aspetto procedurale, ma anche il modo in cui l’opinione pubblica percepisce il lavoro degli inquirenti. Quando il metodo d’indagine viene messo in discussione in una sede televisiva, il confronto esce dall’ambito strettamente tecnico e diventa parte di una più ampia riflessione sul funzionamento del sistema giudiziario e sui criteri adottati per formulare un’accusa in un processo per omicidio.

La questione dell’ora della morte e il ruolo della scienza forense
Un altro passaggio rilevante dell’intervento di Simonetta Matone riguarda la possibile revisione dell’ora del decesso di Chiara Poggi, elemento che nelle indagini di omicidio assume un ruolo decisivo per la ricostruzione dei fatti, degli alibi e degli spostamenti dei soggetti coinvolti. Nel corso della puntata, Matone ha richiamato l’attenzione sul lavoro della nota esperta di medicina legale Cristina Cattaneo, ventilando l’ipotesi di uno spostamento dell’orario della morte di 30-40 minuti rispetto alle stime originarie. Una modifica del genere, se confermata, potrebbe avere ripercussioni sull’interpretazione della sequenza degli eventi e delle disponibilità temporali attribuite all’imputato. Queste le sue parole, riportate integralmente: «Tutti parlano della sentenza passata in giudicato, anch’io da ex magistrato dico che il colpevole è Alberto Stasi. Se la Cattaneo dovesse spostare di 30-40 minuti l’ora della morte cosa diciamo? Continuiamo a sentire che è colpevole?».
La domanda, formulata in modo diretto, mette in evidenza il delicato equilibrio tra sentenza definitiva e possibili nuove acquisizioni scientifiche. Pur ribadendo formalmente la validità del giudicato, la riflessione solleva un interrogativo su come il sistema possa confrontarsi con eventuali aggiornamenti tecnici che incidano su aspetti centrali del caso, come l’orario del delitto o la dinamica delle ferite.

Lo scontro tra esperti e la chiusura polemica di De Rensis
La parte finale del confronto in studio è stata segnata da un’ulteriore affermazione dell’avvocato Gian Luigi De Rensis, rivolta in particolare al mondo dei consulenti tecnici e dei periti forensi che hanno lavorato sul caso Garlasco. Il riferimento è andato in modo esplicito a professionisti di primo piano, chiamati più volte in causa nel corso degli anni. In pochi istanti, il dibattito si è spostato dal piano delle analisi specifiche alla critica della gestione complessiva delle consulenze scientifiche. In un contesto dove il peso delle perizie è determinante, mettere in discussione la capacità interpretativa degli esperti significa sollevare un ulteriore livello di complessità nel giudizio sul caso.
Queste le parole con cui De Rensis chiude il suo intervento, senza alcun filtro: «Diranno quello che hanno detto finora di Previderè (aveva analizzato il DNA, ndr) e altri esperti, che è la numero uno in Italia, ma non ha capito niente». Questa conclusione, pronunciata in diretta televisiva, riassume il clima di forte tensione che ancora circonda il caso Garlasco. L’episodio di “Zona Bianca” mostra come, nonostante il passare del tempo e la presenza di una sentenza definitiva, il confronto tra magistrati, avvocati, consulenti, giornalisti e pubblico resti aperto, con posizioni spesso distanti sul valore delle prove, sulla correttezza delle indagini e sul ruolo dei media nella costruzione della memoria collettiva di uno dei delitti più seguiti.