
In quindici giorni, sei concorrenti de “L’Isola dei Famosi” hanno abbandonato il programma. Un record negativo che trasforma il reality più estremo della TV italiana in una tragicommedia grottesca, dove la sopravvivenza sembra più difficile davanti alle telecamere che nella giungla vera. La domanda sorge spontanea: perché accettare di partecipare a un programma tanto impegnativo per poi fuggire a gambe levate dopo poche notti sotto le stelle (e sotto le telecamere)?

L’illusione del cachet facile
Molti “famosi” vedono l’Isola come un’opportunità economica lampo: una manciata di settimane, una sofferenza ben retribuita e la possibilità di rilanciarsi in qualche talk show post-reality. Ma la fame, il caldo, l’assenza di filtri Instagram e il confronto con se stessi (e con altri ego disperati in cerca di visibilità) rivelano presto l’inganno: non è solo un gioco, è un’esperienza brutale. E a quel punto, il cachet non basta più.
Non è raro, inoltre, che certi concorrenti accettino con l’intento nemmeno troppo velato di restare giusto il tempo di fare un po’ di rumore. Una litigata, un crollo emotivo, un addio in diretta: e voilà, il pacchetto perfetto per rientrare nel circolo mediatico, tra interviste, ospitate e social engagement. È la nuova economia dell’attenzione: non serve durare, serve lasciare un segno – anche se breve, purché rumoroso.

La selezione sbagliata
Viene anche da chiedersi: chi li sceglie questi concorrenti? In un’epoca in cui la parola “reality” dovrebbe evocare autenticità, sembra che l’unica realtà che conta sia il numero di follower. Ci si ritrova così con personaggi che hanno più familiarità con le spa di lusso che con un cocco da aprire, più allenati a fare pose che a reggere la pressione psicologica di un gruppo esasperato dalla fame e dal nulla.
Forse la verità più amara è che l’Isola, invece di mostrare il lato eroico del personaggio pubblico, ne smaschera le fragilità. E questo, per chi ha costruito la propria immagine sulla perfezione digitale o sull’artificio televisivo, è insopportabile. Meglio mollare, meglio una fuga “motivata da problemi personali” che affrontare il rischio di apparire umani, deboli, veri.

Una crisi di format?
Vale la pena inoltre interrogarsi sul format stesso. Dopo vent’anni di repliche, “L’Isola dei Famosi” sembra un disco rotto che non riesce più a sorprendere né il pubblico né i protagonisti. La narrazione della “prova estrema” ormai ha perso mordente e così quello che doveva essere un esperimento di resistenza si riduce a una parata di ritiri e confessionali lacrimevoli.
In conclusione potremmo affermare che non sono i naufraghi a essere deboli, bensì l’intero sistema televisivo a essere ormai logoro, incapace di distinguere tra chi è pronto a mettersi davvero in gioco e chi cerca solo una scialuppa per restare a galla nel mare della notorietà. Forse, più che “L’Isola dei Famosi”, serve un ritorno all’onestà televisiva. Ma quella, si sa, non fa share.