
Famiglia nel bosco, Stato e confini dell’intervento pubblico
Da questo dettaglio si è sviluppata una discussione più ampia che ha superato il singolo episodio, arrivando a interrogarsi sul significato contemporaneo di famiglia, sul modo in cui si esercita la genitorialità e su quali siano i confini legittimi dell’intervento pubblico nella sfera privata. Il tema della libertà educativa dei genitori si è intrecciato con quello, altrettanto rilevante, della responsabilità dello Stato nel prevenire situazioni ritenute pregiudizievoli per i minori.
L’intervento di Bernardini De Pace in studio
Nel corso del dibattito ha assunto un ruolo centrale l’intervento di Annamaria Bernardini De Pace, avvocata matrimonialista e nota esperta di diritto di famiglia, invitata in studio in qualità di opinionista e tecnica della materia. Fin dal suo primo intervento la professionista ha esposto una posizione molto netta, destinata a suscitare ampia discussione. Commentando la misura di allontanamento decisa dal tribunale, ha affermato: “È bruttissimo dire che i bambini sono stati sottratti alla famiglia, i bambini sono stati salvati da una situazione di pregiudizio che era stata creata dalla famiglia”.
Con questa dichiarazione, l’avvocata ha spostato l’asse del ragionamento dalla sofferenza dei genitori al punto di vista dei figli, insistendo sulla nozione di preminente interesse del minore, principio cardine del sistema normativo in materia. Secondo la sua ricostruzione, l’intervento dell’autorità giudiziaria non andrebbe letto come un atto punitivo nei confronti della coppia, bensì come uno strumento di protezione rispetto a una condizione che, sulla base degli atti disponibili, sarebbe stata considerata inadeguata o pregiudizievole.
L’analisi di Bernardini De Pace si è poi soffermata sui tempi della procedura e sul tema del presunto “danno” subito dai bambini a seguito del collocamento in comunità. Rispondendo alle obiezioni avanzate in studio dal giornalista Pietro Senaldi, che aveva parlato di un danno già consumato, l’avvocata ha dichiarato: “Dice che il danno è stato fatto, ma il danno è stato fatto non dai giudici ma dai genitori negli otto anni precedenti, e non si può pensare che un provvedimento di questo genere in 38 giorni venga revocato. Sono pochi per riparare a quelli che sembra siano i danni che hanno subito questi bambini”.
La giurista ha così sottolineato come, a suo giudizio, il periodo di valutazione non possa essere eccessivamente breve, in quanto sarebbe necessario un esame approfondito del contesto familiare, del percorso educativo e della socializzazione dei minori. Da questa prospettiva, le eventuali carenze educative, relazionali o scolastiche maturate nel corso degli anni costituirebbero uno degli elementi alla base della decisione di mantenere, almeno in questa fase, l’allontanamento in essere.

Il nodo della consulenza psicologica e il confronto in studio
Uno dei passaggi più discussi dell’intervento di Bernardini De Pace ha riguardato l’adesione alla scelta del tribunale di disporre una consulenza psicologica. L’avvocata ha infatti dichiarato: “E trovo giustissima la decisione di fare una consulenza psicologica per capire non solo i figli ma anche i genitori”. In queste parole è racchiusa l’idea che, nei casi complessi come quello della famiglia nel bosco, la valutazione debba includere sia la condizione dei bambini sia le capacità genitoriali, le dinamiche relazionali e l’effettiva idoneità del progetto educativo intrapreso.
La posizione espressa ha incontrato la decisa contrarietà di parte del parterre. In studio era presente anche Rita Dalla Chiesa, che ha manifestato un orientamento favorevole alla famiglia Trevallion-Birmingham. Secondo quanto emerso nel corso della trasmissione, la conduttrice e opinionista televisiva ritiene che il modello di vita scelto dai genitori, basato su un rapporto più diretto con la natura e su un consumo ridotto, possa favorire forme di socialità autentica, alternative al consumismo e alla iperdigitalizzazione tipica della società contemporanea.
Da una parte, quindi, l’interpretazione di chi legge il ricorso alla consulenza tecnica psicologica (CTU o CTP, a seconda dei casi) come una prassi coerente con gli standard della giustizia minorile, finalizzata a una conoscenza più approfondita delle condizioni dei minori e delle competenze genitoriali. Dall’altra, la visione di chi teme che una simile indagine possa trasformarsi in un giudizio ideologico sullo stile di vita e sulle scelte educative, ponendo a rischio la libertà educativa riconosciuta ai genitori dall’ordinamento.
Il confronto in studio, moderato dal conduttore di Zona Bianca, si è così sviluppato su due piani differenti ma intrecciati: da un lato quello strettamente giuridico, legato alle norme e alle prassi dei tribunali per i minorenni; dall’altro quello culturale, che riguarda il grado di accettazione sociale di modelli di vita non convenzionali, come quello adottato dalla famiglia che ha scelto di vivere nel bosco. Il caso ha messo in evidenza quanto fragile possa essere l’equilibrio tra rispetto dell’autonomia familiare e dovere di intervento in presenza di possibili situazioni di rischio.

“I genitori hanno solo doveri”: la frase che accende il dibattito
La parte conclusiva del contributo di Annamaria Bernardini De Pace è stata quella che ha suscitato la reazione più forte, sia tra gli ospiti in studio sia tra i telespettatori. Riassumendo la propria lettura del quadro normativo e dei principi che regolano la responsabilità genitoriale, l’avvocata ha pronunciato una frase che ha avuto ampia eco sui social network e sui media: “I genitori hanno solo doveri, non hanno diritti, i diritti sono residuali e non è vero che i bambini siano di proprietà dei genitori”.
Questa affermazione, molto netta sul piano concettuale, richiama la trasformazione intervenuta nel diritto di famiglia italiano negli ultimi decenni, con il passaggio dalla nozione tradizionale di “patria potestà” a quella di “responsabilità genitoriale”. In tale prospettiva, al centro non vi sono più i diritti dei genitori sui figli, ma i diritti dei minori ad essere cresciuti, educati e assistiti in modo adeguato, con i genitori chiamati a garantire tali diritti attraverso l’adempimento di specifici doveri.
Le parole di Bernardini De Pace sono state immediatamente rilanciate sui canali social, dove si è aperto un ulteriore fronte di discussione. Alcuni commentatori hanno letto la frase come una corretta sintesi dell’impianto normativo, sottolineando come, nei procedimenti minorili, l’interesse del bambino debba prevalere su ogni altra considerazione. Altri, invece, hanno interpretato quel passaggio come una visione eccessivamente sbilanciata a sfavore delle famiglie, temendo che essa possa giustificare interventi sempre più frequenti nella vita privata dei nuclei familiari non in linea con standard ritenuti “convenzionali”.

“Zona bianca”, si infiamma il dibattito sulla famiglia nel bosco
Nel corso della puntata, è emersa inoltre la questione del tempo necessario per verificare se e in che misura la famiglia nel bosco possa eventualmente recuperare la piena capacità di occuparsi dei figli nel rispetto dei parametri richiesti dalla legge. La stessa Bernardini De Pace ha sottolineato che 38 giorni non sarebbero sufficienti per ribaltare un quadro ritenuto critico, soprattutto se tale situazione si è presumibilmente consolidata nel corso di molti anni. Da qui il riferimento alle responsabilità accumulate nel tempo e alla necessità di un percorso di valutazione graduale e strutturato.
A fare da contraltare a questa lettura rigorosa, gli interventi di chi, come Senaldi e Dalla Chiesa, ha insistito sull’impatto emotivo dell’allontanamento sui minori, particolarmente in un periodo simbolico come il Natale. In questa prospettiva, la separazione dalla famiglia d’origine, pur adottata a fini protettivi, rischierebbe di generare un trauma affettivo non facilmente rimediabile, specialmente se protratta nel tempo. Il dibattito ha quindi messo in luce le diverse sensibilità rispetto al bilanciamento tra protezione e continuità affettiva.

“I bambini della famiglia nel bosco sono stati salvati da una situazione di pregiudizio che era stata creata dalla famiglia”
— Zona Bianca (@zona_bianca) December 28, 2025
Annamaria Bernardini De Pace a #zonabianca pic.twitter.com/fqoz8UZUrh
“Gli assistenti sociali si sarebbero dovuti fermare sulla soglia di casa, prima di sottrarre i bambini da una vita alla quale erano abituati”
— Zona Bianca (@zona_bianca) December 28, 2025
Rita Della Chiesa a #zonabianca pic.twitter.com/65C51EFNqU
Il contesto giuridico e le prospettive del caso
Il caso della famiglia nel bosco si inserisce in un quadro normativo complesso, che affida ai tribunali per i minorenni e ai servizi sociali il compito di intervenire quando emergono possibili situazioni di pregiudizio per i minori. In situazioni simili, i giudici possono disporre misure temporanee di allontanamento, collocamento in casa famiglia o affidamento, accompagnate da accertamenti psicologici, sociali ed eventualmente medici. L’obiettivo formale è sempre quello di verificare se esistano condizioni per un rientro in famiglia o se sia necessario individuare percorsi alternativi.
Nel caso specifico, la scelta di vivere in un contesto boschivo e di adottare uno stile di vita neorurale ha sollevato interrogativi sull’adeguatezza delle condizioni abitative, sulla frequenza scolastica, sulla socializzazione tra pari e sull’accesso alle cure sanitarie. Tali elementi, secondo le informazioni rese note in trasmissione e in altre sedi, costituirebbero alcuni dei profili oggetto di approfondimento da parte delle autorità competenti. Resta comunque vincolante il principio di proporzionalità degli interventi, che impone di adottare misure non più invasive di quanto strettamente necessario.
La discussione pubblica, alimentata dall’eco televisiva e dalla circolazione di video e commenti online, ha mostrato come casi di questo tipo tocchino corde molto sensibili dell’opinione pubblica. Da un lato, prende forma la preoccupazione per la protezione dei bambini, soprattutto in contesti percepiti come atipici o potenzialmente isolati. Dall’altro, si rafforza il timore di una sorta di “lottizzazione dei modelli familiari“, in cui strutture e stili di vita difformi dalla maggioranza possano essere osservati con sospetto o addirittura sanzionati.
Un ulteriore elemento di complessità è rappresentato dalla dimensione mediatica. La forte esposizione del caso, con interviste, servizi televisivi e dibattiti in prima serata, rischia infatti di influenzare la percezione collettiva prima ancora che si concludano gli accertamenti tecnici e giuridici. In questo senso, diversi commentatori invitano alla prudenza, sottolineando l’importanza di distinguere tra la narrazione mediatica e il percorso formale che si svolge nelle aule di giustizia, dove valgono regole di riservatezza e tutela della privacy dei minori.
Diritti dei minori e doveri dei genitori: un equilibrio delicato
Le parole di Bernardini De Pace sui “doveri” dei genitori e sulla non proprietà dei figli hanno riportato al centro del discorso pubblico un principio già consolidato a livello internazionale. Le principali convenzioni sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, così come la legislazione italiana, pongono infatti il minore come soggetto titolare di diritti propri e autonomi, che lo Stato e la famiglia sono chiamati a garantire. Questo approccio si traduce, sul piano pratico, nella possibilità di intervento quando siano ravvisate condizioni di abbandono, trascuratezza o pregiudizio.
Tuttavia, l’applicazione concreta di questi principi richiede valutazioni caso per caso, nelle quali si intrecciano elementi oggettivi (come la sicurezza degli ambienti, la regolarità scolastica, la disponibilità di cure mediche) ed elementi più difficili da misurare, come la qualità delle relazioni affettive, il benessere psicologico e la capacità dei genitori di rispondere ai bisogni evolutivi dei figli. È proprio su questo terreno che si concentra la consulenza psicologica richiamata in trasmissione, strumento abituale ma spesso percepito con timore dalla popolazione.
Il caso della famiglia nel bosco diventa così emblematico di una tensione più ampia tra autonomia familiare e controllo pubblico. Per alcuni, rappresenta l’esempio di una necessaria attivazione dei servizi a tutela di bambini potenzialmente esposti a condizioni non adeguate; per altri, incarna il rischio di un’interpretazione estensiva del concetto di pregiudizio, capace di colpire stili di vita alternativi ma non necessariamente pericolosi. La risposta di Bernardini De Pace, ancorata all’idea dei doveri genitoriali, si colloca chiaramente nel primo di questi filoni interpretativi.
In assenza, al momento, di decisioni definitive sul futuro dei minori, il dibattito resta aperto e destinato a proseguire. La vicenda continuerà probabilmente a essere seguita dai media e dall’opinione pubblica, sia per la forte carica emotiva delle immagini e dei racconti sia per le implicazioni di principio che tocca. L’evoluzione del procedimento offrirà elementi ulteriori per comprendere in che modo i giudici concilieranno l’esigenza di protezione con il desiderio dei genitori di ricostruire una quotidianità condivisa con i propri figli.
In questo scenario, il confronto tra posizioni come quelle espresse da Bernardini De Pace, da Pietro Senaldi e da Rita Dalla Chiesa contribuisce a mettere in luce la pluralità di sguardi con cui la società contemporanea guarda alla famiglia, ai minori e al ruolo dello Stato. Al di là delle singole opinioni, il caso della famiglia nel bosco sollecita una riflessione collettiva sul significato concreto di tutela, responsabilità e libertà all’interno dei rapporti familiari.