“Quarta Repubblica”, ombre sulla perizia
Nel corso della puntata, l’attenzione si è concentrata in particolare sulla cosiddetta perizia De Stefano del 2014, uno degli elaborati tecnici più discussi nella lunga storia processuale del caso. All’epoca, quella relazione non aveva confermato la presenza del DNA di Alberto Stasi sotto le unghie di Chiara Poggi, ma non l’aveva neppure esclusa in maniera netta, lasciando aperto un margine interpretativo che nel tempo ha alimentato dibattiti e polemiche.
Il generale Luciano Lago, all’epoca ai vertici del Ris dell’Arma, è stato invitato a riconsiderare il contesto in cui nacque quella perizia e il metodo di analisi prescelto. Nel dialogo con Porro, l’ufficiale ha ricordato di aver suggerito, in quella fase, l’utilizzo di una tecnica di indagine genetica più avanzata, disponibile in Italia ma praticata soltanto da pochi laboratori specializzati, in grado – a suo avviso – di offrire maggiori probabilità di successo analitico sui reperti estremamente degradati e delicati.
A distanza di undici anni, il generale Lago ha manifestato alcune riserve rispetto alle conclusioni allora riportate: “Che il perito dica: ‘Erano tutti d’accordo, eccetera’, a mio avviso non lo può dire – le parole del militare dell’Arma a Quarta Repubblica – nel senso che comunque il perito era lui, la responsabilità della scelta è tutta sua. Io avevo suggerito una tecnologia che avrebbe garantito maggiori chance di successo analitico. Questo non è stato fatto. Era una tecnica considerata avanzata, era un po’ avanzata però esisteva in Italia, la facevano, penso, un paio di laboratori, non di più. Io scrissi una mail: ‘Io suggerisco di fare questa roba qua, poi il perito fa le sue scelte’”.
Lago ha spiegato che, a suo giudizio, la decisione di non ricorrere a quella metodica avrebbe limitato l’efficacia delle indagini di laboratorio. La scelta tecnica iniziale, secondo la sua ricostruzione, avrebbe quindi inciso in maniera significativa tanto sulla qualità quanto sull’interpretabilità dei risultati poi conseguiti.

Le criticità sui risultati del DNA e i limiti della perizia
Nel corso della trasmissione, il generale Lago ha affrontato anche il tema della valutazione quantitativa e qualitativa dei risultati genetici ottenuti all’epoca. Soffermandosi sulla scelta metodologica e sulle sue conseguenze, ha dichiarato: “Dal mio punto di vista, non era neanche pensabile di non farla. Forse si sarebbe potuto fare qualcosa di più e di meglio. Quando il risultato è quello che è uscito, si porta dietro un po’ le criticità che sono figlie di quelle scelte. Con quel risultato, a mio avviso, non sussistevano i requisiti tecnici per fare dei ragionamenti”.
In questa prospettiva, il nodo principale richiamato dall’ex comandante dei Ris riguarda la solidità tecnica di un dato genetico utilizzabile in sede giudiziaria. Secondo Lago, il livello di affidabilità dei profili ottenuti nel 2014 non avrebbe consentito, già allora, di formulare conclusioni robuste o di sostenere valutazioni univoche sull’eventuale attribuzione del DNA a un soggetto determinato.
Il generale ha quindi collegato la debolezza dei risultati alle opzioni tecniche scelte nella fase iniziale delle analisi, tornando a sottolineare che, se si fossero adottate metodiche più sofisticate, si sarebbero potute avere – almeno in linea di principio – maggiore sensibilità e più elementi per una lettura scientifica attendibile. Tale considerazione, riferita a un reperto così sensibile come il materiale sotto le unghie della vittima, assume particolare rilievo nel dibattito odierno.

Le parole del generale
Proprio su questo punto si innesta la riflessione più critica di Lago in merito alla frase, divenuta nel tempo uno dei passaggi più citati della perizia De Stefano, secondo cui non era possibile neppure escludere che quel DNA potesse appartenere ad Alberto Stasi. È da qui che nasce il successivo chiarimento dell’ufficiale a “Quarta Repubblica”, nel quale mette a fuoco la coerenza tra i dati tecnici e la loro rappresentazione conclusiva nel documento peritale.
La discussione ha permesso di collegare le dichiarazioni del generale alle odierne risultanze della perizia Albani, che a sua volta si muove nel solco di una verifica critica delle evidenze genetiche, includendo l’analisi della compatibilità con l’aplotipo Y maschile collegato alla famiglia di Andrea Sempio, anch’esso ritenuto non sufficiente per una identificazione individuale.
“Non posso escludere Stasi”: il passaggio contestato della vecchia perizia
Il punto di svolta dell’intervento televisivo è giunto quando l’ex comandante dei Ris ha affrontato in modo diretto la frase contenuta nelle conclusioni dell’elaborato peritale del 2014. Lago ha spiegato: “Quando poi il perito ha detto: ‘Non posso nemmeno escludere che sia di Stasi’, a mio avviso quella non è un’espressione appropriata, perché se tu dici che quei risultati non sono sufficienti per essere utilizzati a fini identificativi, non puoi includere, non puoi escludere, non puoi fare niente, quei risultati non esistono”.
L’osservazione, di natura prettamente tecnica, richiama un principio di metodo: per l’ufficiale, laddove un dato scientifico viene giudicato insufficiente per qualsiasi operazione identificativa, non si dovrebbe procedere ad alcun tipo di attribuzione, neppure in termini di mera possibilità. Proseguendo nel suo ragionamento, Lago ha sottolineato: “E ancora: ‘Attenzione: è un perito che scrive una cosa nelle conclusioni della perizia, quindi non è un opinionista. Questa frase chiaramente genera equivoci: ‘Non posso escludere Stasi’, cioè sembra scritta per accondiscendere qualcuno. Getta un sospetto? Sì, un po’ sì”.
Secondo l’interpretazione fornita in trasmissione, proprio quella affermazione avrebbe contribuito a mantenere nel tempo un margine di ambiguità attorno al ruolo di Alberto Stasi in relazione al profilo genetico individuato sotto le unghie della vittima. La distanza tra il giudizio di inidoneità del reperto per scopi identificativi e la formula “non posso escludere” è stata descritta da Lago come un elemento in grado di generare fraintendimenti non solo nei non addetti ai lavori, ma anche nel dibattito processuale.
“Per me è una perizia fatta benissimo che chiarisce alcuni punti, però mette paletti tipo che non si può sapere se è un tocco diretto o indiretto.”#Palmegiani #Garlasco#quartarepubblica pic.twitter.com/q7xXTDvWNB
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La guerra tra perizie
All’interno di questo quadro, l’intervento dell’ex comandante dei Ris si inserisce come una rilettura tecnica di un passaggio ormai storico dell’inchiesta, offrendo una chiave di lettura che, se confermata, potrebbe avere riflessi sul modo in cui vengono oggi valutate le vecchie e le nuove perizie nel contesto del procedimento in corso a Pavia. Il confronto tra metodologie di laboratorio, linguaggio peritale e ricadute giuridiche si conferma così uno degli aspetti più delicati della lunga vicenda giudiziaria.
La discussione televisiva ha contribuito inoltre a riportare l’attenzione su un tema più generale: il rapporto tra rigore scientifico, formulazioni linguistiche nelle perizie e percezione pubblica dei casi giudiziari complessi. In particolare, è emerso come una singola frase possa assumere un peso rilevante quando viene letta al di fuori del contesto strettamente tecnico, influenzando il dibattito mediatico e l’opinione dell’opinione pubblica.
Il commento di Nicola Porro e i nuovi sviluppi della perizia Albani
Al termine dell’intervento del generale Lago, è stato lo stesso Nicola Porro a riassumere il significato delle dichiarazioni appena ascoltate, sottolineandone la portata in relazione al ruolo rivestito dall’ospite. Rivolgendosi al pubblico, il conduttore ha affermato: “Non so se sono dichiarazioni fortissime perché questo era il capo del RIS e dice: ‘Per quale motivo avete messo in mezzo Stasi? Perché avreste dovuto dire: non è nulla recuperabile, non sappiamo nulla, non si può dire nulla’”.
Il riferimento di Porro rimanda al cuore della questione: se i dati genetici all’epoca non erano ritenuti adeguati per un utilizzo identificativo, la domanda diventa se fosse corretto, sul piano tecnico, chiamare in causa comunque Alberto Stasi in quelle conclusioni, seppure nei termini di una non esclusione. Questo interrogativo si intreccia con gli sviluppi più recenti della nuova indagine, in cui l’attenzione è concentrata sulla perizia di Denise Albani.
Il genetista Capra sulle dichiarazioni a noi rilasciate dall’ex capo del Ris Lago.#Garlasco#quartarepubblica pic.twitter.com/psNnzjoovi
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La questione delle tracce non attribuibili
Nella relazione della genetista, infatti, viene ribadito che sulle unghie di Chiara Poggi non emergono tracce attribuibili in modo certo ad Alberto Stasi. La perizia, secondo quanto riportato, evidenzierebbe l’assenza di un profilo genetico riconducibile all’imputato storico del processo, escludendo la presenza di dati anche solo “lontanamente paragonabili” a quelli del suo DNA. Si tratta di un elemento che, nell’attuale fase dell’inchiesta, è considerato di rilievo.
Analogamente, per quanto riguarda Andrea Sempio, la perizia parlerebbe di una presenza “alla lontanissima”, con un aplotipo Y compatibile con la linea maschile della sua famiglia ma, allo stesso tempo, teoricamente comune a migliaia di uomini sul territorio nazionale. In questo quadro, il valore identificativo del dato genetico resta limitato, non consentendo di collegare in modo diretto e univoco il reperto a una specifica persona.
Le conclusioni espresse da Albani si inseriscono in una ricostruzione più ampia, che punta a definire con maggior precisione l’effettiva rilevanza probatoria del DNA sotto le unghie della vittima. Il confronto con le perizie precedenti, e in particolare con l’elaborato De Stefano, fa emergere una linea comune: la difficoltà di attribuire un peso determinante a campioni genetici che, per quantità e qualità, non soddisfano gli standard abitualmente richiesti per un’identificazione individuale in ambito forense.

Verso la chiusura dell’incidente probatorio
In vista dell’udienza del 18 dicembre, la Procura di Pavia e le parti coinvolte nel procedimento si preparano a esaminare formalmente le risultanze delle nuove analisi genetiche e a metterle in relazione con il complesso quadro probatorio costruito negli anni. La chiusura dell’incidente probatorio rappresenterà un passaggio ufficiale nel quale la perizia Albani e gli altri atti tecnici verranno acquisiti in forma definitiva.
La fase attuale è dedicata alla sistematizzazione di quanto emerso sul piano scientifico, con particolare attenzione alle limitazioni oggettive dei reperti biologici esaminati. L’orientamento che sembra emergere dalle ultime valutazioni tecniche è che il materiale genetico disponibile non consente, allo stato, di individuare con certezza un autore attraverso le tracce sotto le unghie di Chiara Poggi, né di confermare in modo univoco l’appartenenza a specifici soggetti già noti all’indagine.
Una volta completata questa fase, spetterà alla magistratura valutare se e in che misura i nuovi elementi possano incidere sul quadro processuale già definito dalle precedenti sentenze e se vi siano i presupposti per ulteriori iniziative giudiziarie. In ogni caso, il dibattito intorno alle perizie genetiche sul caso Garlasco continua a rappresentare un capitolo centrale della vicenda, ponendo al centro il rapporto tra scienza, diritto e comunicazione pubblica.
Il contributo offerto dal confronto televisivo tra Nicola Porro e l’ex comandante dei Ris Luciano Lago si inserisce in questo scenario come una testimonianza del percorso, complesso e articolato, che accompagna da anni il delitto di Garlasco. Le prossime settimane, con la formalizzazione degli atti e le eventuali decisioni della Procura, diranno se e in che misura le nuove analisi sul DNA potranno incidere sulla lettura giudiziaria di uno dei casi di cronaca nera più discussi degli ultimi decenni.