Il cordoglio di amici e colleghi
La condivisione del lutto sui social, in particolare nel giorno della Vigilia di Natale, ha suscitato numerosi messaggi di cordoglio e vicinanza. Colleghi, amici, esponenti del mondo del teatro e della cultura hanno espresso il proprio supporto, sottolineando il legame che univa Carolina Rosi a Fercioni e Manca e ricordando il ruolo che entrambi hanno avuto nella vita culturale di Milano. Le parole scelte dalla regista non cercano spiegazioni, ma testimoniano la necessità di fissare nel linguaggio la memoria di persone considerate insostituibili.
“In pochissimi giorni, dopo Gian Maurizio, oggi mi ha lasciata anche Italo” diventa così il punto di partenza di un racconto che attraversa luoghi, stagioni e generazioni. Il riferimento alle “giornate e nottate milanesi” richiama un lungo periodo di vita trascorso nel capoluogo lombardo, tra teatro, amicizie, lavoro e convivialità. Locali come La Libera rappresentavano per molti artisti e professionisti un vero e proprio presidio culturale, spazi in cui si intrecciavano progetti, idee e relazioni umane destinate a durare nel tempo.
Due lutti in pochi giorni per Carolina Rosi
Nata nel 1965, Carolina Rosi ha compiuto sessant’anni il 26 dicembre. Attrice, regista e produttrice teatrale, è una figura solida del panorama culturale italiano, conosciuta per un percorso professionale costruito con rigore, lontano da scorciatoie mediatiche. Figlia del regista Francesco Rosi e di Giancarla Mandelli, cresce in un contesto in cui cinema, impegno civile e arte sono parte integrante della vita quotidiana. L’ambiente familiare, segnato dalla presenza di autori, attori e intellettuali, ha contribuito a orientare fin da subito le sue scelte artistiche.
Prima di approdare stabilmente al teatro, Carolina Rosi lavora a Milano nel settore della moda, accanto alla zia Mariuccia Mandelli, fondatrice della maison Krizia. L’esperienza nel mondo del prêt-à-porter e del design le consente di avvicinarsi a una dimensione creativa diversa, fatta di ricerca estetica, organizzazione e attenzione al dettaglio. Tuttavia è il palcoscenico, con le sue dinamiche e la sua energia, a imporsi progressivamente come luogo privilegiato di espressione, portandola a scegliere la formazione teatrale come strada principale.
Nel 1988 si diploma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, una delle istituzioni più prestigiose in Italia nel campo della recitazione. Da quel momento avvia un percorso professionale articolato tra cinema, televisione e teatro, caratterizzato da continuità e serietà. Nel corso degli anni lavora con registi e compagnie diverse, costruendo una reputazione fondata sulla preparazione, sulla disciplina e su un approccio al lavoro che privilegia l’approfondimento dei testi e dei personaggi.
Sul grande schermo, Carolina Rosi partecipa a produzioni di rilievo, come “Cronaca di una morte annunciata” e “Dimenticare Palermo”, confrontandosi con progetti dal forte impianto narrativo e dal respiro internazionale. In teatro, invece, affina uno stile basato sull’ascolto, sulla coralità e su una costante attenzione alla dimensione collettiva del lavoro scenico. La costruzione dei personaggi, l’aderenza ai testi e il rispetto per il pubblico rappresentano i cardini della sua presenza artistica.

Il legame con Luca De Filippo e l’eredità teatrale
Uno degli incontri decisivi nel percorso di Carolina Rosi è quello con Luca De Filippo, figlio di Eduardo De Filippo e a sua volta attore e regista di primo piano nel teatro italiano. Dal loro rapporto nasce un sodalizio professionale e umano che durerà oltre vent’anni, culminando nel matrimonio celebrato nel 2013. I due condividono una visione del teatro come servizio culturale, radicato nel repertorio classico ma sempre orientato al dialogo con la contemporaneità.
Con la compagnia Elledieffe, fondata da Luca De Filippo per dare continuità all’eredità eduardiana, Carolina Rosi partecipa a numerose produzioni e tournée. Gli spettacoli affrontano temi sociali, dinamiche familiari, contraddizioni della società italiana, mantenendo fede allo stile di Eduardo ma cercando al tempo stesso nuove chiavi di lettura. La collaborazione tra Rosi e De Filippo si caratterizza per una forte coerenza artistica, che unisce rispetto per la tradizione e apertura verso il pubblico contemporaneo.
Dopo la scomparsa di Luca De Filippo nel 2015, Carolina Rosi assume un ruolo di primo piano nella tutela e nella prosecuzione del progetto culturale costruito insieme. Diventa presidente onoraria della Fondazione Eduardo De Filippo e guida la compagnia Elledieffe, impegnandosi nella produzione di nuovi spettacoli e in iniziative di formazione rivolte alle giovani generazioni di attori. L’obiettivo è mantenere vivo il patrimonio drammaturgico di Eduardo, proseguendo un lavoro di divulgazione e approfondimento.
Questa responsabilità si traduce in un’attività costante, che unisce palcoscenico, progettazione culturale e impegno organizzativo. In diverse interviste, la figura di Carolina Rosi viene spesso descritta come punto di riferimento per la continuità del teatro di tradizione italiana, capace di far dialogare il repertorio con il presente e di portare in scena testi classici con letture aggiornate e accessibili anche a un pubblico nuovo.


Citizen Rosi e il rapporto con la memoria del padre
Accanto all’impegno teatrale, negli anni più recenti Carolina Rosi ha intensificato il confronto con la figura del padre, il regista Francesco Rosi, tra i protagonisti del cinema italiano del Novecento. Questo dialogo con la memoria familiare si traduce nel 2019 nella realizzazione di “Citizen Rosi”, documentario diretto insieme ad altri collaboratori e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. L’opera ripercorre il percorso umano e artistico di Francesco Rosi, intrecciando immagini d’archivio, testimonianze e riflessioni personali.
Il film si concentra sulla capacità del regista di leggere le dinamiche sociali e politiche dell’Italia, attraverso un cinema civile attento alle ingiustizie, ai poteri e alle contraddizioni del Paese. In questo lavoro, Carolina Rosi unisce il ruolo di figlia a quello di autrice, restituendo un ritratto che è allo stesso tempo intimo e pubblico. “Citizen Rosi” viene accolto come un contributo importante alla rilettura del cinema d’impegno e alla valorizzazione di un patrimonio culturale che continua a dialogare con il presente.
Il progetto conferma la posizione di Carolina Rosi come figura in grado di custodire due grandi tradizioni – quella del cinema di Francesco Rosi e quella del teatro di Eduardo e Luca De Filippo – senza restarne imprigionata. Il suo lavoro si muove infatti su più piani: produzione, interpretazione, regia, attività fondativa e divulgativa. Tutti elementi che contribuiscono a delineare un profilo professionale autonomo, riconosciuto nel panorama culturale nazionale.
La Maremma, il podere Scovaventi e il ritorno alla terra
Parallelamente all’attività artistica, negli ultimi anni Carolina Rosi ha avviato un percorso legato alla terra e all’agricoltura. In Maremma, in Toscana, nasce il podere Scovaventi, un progetto dedicato alla produzione di olio extravergine d’oliva biologico e ad altre coltivazioni. Si tratta di un’iniziativa che unisce cura del territorio, attenzione alla qualità e rispetto per i cicli naturali, in linea con la crescente sensibilità verso pratiche sostenibili.
Il lavoro in campagna, per molti mesi dell’anno, rappresenta per Carolina Rosi una dimensione complementare rispetto al teatro e al cinema. L’attività agricola richiede tempi lunghi, pazienza e continuità, elementi che rimandano a un’idea di radicamento e di stabilità. L’esperienza del podere Scovaventi si inserisce così in una biografia segnata sì da palcoscenici e set, ma anche da luoghi di silenzio, lavoro manuale e contatto diretto con la natura.
Questa scelta testimonia una duplice appartenenza: da un lato le grandi città della cultura – Roma, Napoli, Milano – dall’altro la campagna toscana, spazio di equilibrio e di progettualità a lungo termine. Nel contesto dei lutti recenti, la presenza di un luogo come il podere può assumere un ulteriore valore, come ambito in cui elaborare il dolore all’interno di una routine fatta di gesti concreti e ciclicità stagionali.
Il ricordo di Gian Maurizio Fercioni e Italo Manca
Le due persone che Carolina Rosi ricorda nel suo messaggio – Gian Maurizio Fercioni e Italo Manca – appartengono a mondi diversi, ma sono accomunate da un forte legame con la vita culturale milanese. Fercioni, scenografo e tra i fondatori del Teatro Franco Parenti, ha contribuito a definire l’identità visiva di numerosi spettacoli, collaborando con registi e attori di rilievo e accompagnando la crescita di una delle istituzioni teatrali più importanti della città.
Italo Manca, 84 anni, è stato a lungo il titolare de La Libera, ristorante aperto nel 1981 e diventato nel tempo uno dei punti di riferimento della ristorazione milanese, frequentato da professionisti, artisti, giornalisti e imprenditori. Nel febbraio 2024 il locale è stato ceduto alla famiglia Comito, già proprietaria del ristorante Solferino, segnando simbolicamente la fine di un’epoca. La sua figura è spesso descritta come quella di un anfitrione capace di creare un clima familiare e informale, pur mantenendo alta la qualità dell’offerta gastronomica.
Nel messaggio pubblicato sui social, Carolina Rosi non entra nel dettaglio delle biografie di Fercioni e Manca, ma sottolinea il ruolo che hanno avuto nella sua vita personale: “due pezzi indimenticabili della mia vita, che mi hanno accompagnato per più di trent’anni nelle mie giornate e nottate milanesi”. Parole che richiamano un intreccio di ricordi fatto di discussioni, progetti, serate a teatro e cene condivise, in cui professione e amicizia si sovrapponevano.
Il dolore privato e la condivisione pubblica
La decisione di condividere il lutto su un profilo social si inserisce in una tendenza sempre più diffusa tra personaggi pubblici, che scelgono questi strumenti per comunicare momenti di passaggio, gratitudine o perdita. Nel caso di Carolina Rosi, il linguaggio utilizzato rimane asciutto e privo di commenti ulteriori, affidandosi alla forza delle espressioni scelte: “Una creatività, una genialità che purtroppo viene a mancare… sono disperata, ti porterò sempre nel mio cuore”.
Il post del 24 dicembre ha raccolto numerosi commenti di cordoglio, tra cui quelli di colleghi di scena, operatori culturali e spettatori che nel corso degli anni hanno seguito il suo lavoro teatrale. In molti messaggi ricorre il riferimento al concetto di “generazione” evocato da Rosi, quell’“intera generazione a cui far riferimento non c’è più” che rimanda a un sistema di relazioni, maestri, amici e compagni di strada che hanno segnato una fase storica della vita culturale italiana.
In questo contesto, l’espressione di sentirsi “orfana per la seconda volta” si intreccia idealmente con altre perdite significative che hanno segnato la biografia di Carolina Rosi, come la morte del padre Francesco e quella del marito Luca De Filippo. Pur senza esplicitarlo nel messaggio, il riferimento al senso di orfanità sembra collegarsi a un progressivo distacco da figure considerate punti fermi, sia sul piano affettivo che su quello professionale.
Una figura di continuità nel panorama culturale italiano
Nonostante il momento di forte dolore personale, il profilo pubblico di Carolina Rosi continua a essere quello di una professionista impegnata nella salvaguardia e nella diffusione di un patrimonio artistico complesso. Tra Fondazione Eduardo De Filippo, compagnia Elledieffe, progetti documentaristici e attività agricole in Maremma, la sua figura si colloca in un punto d’incontro tra memoria e presente, tradizione e innovazione, città e campagna.
La storia recente di Carolina Rosi, segnata da due lutti a ridosso delle festività natalizie, si inserisce così in una biografia in cui le dimensioni privata e pubblica restano sempre collegate. Le parole affidate ai social il 24 dicembre rimangono a oggi una delle testimonianze più dirette del suo stato d’animo: poche frasi, senza commenti aggiuntivi, che affidano alla scrittura il compito di fissare il ricordo di persone che hanno rappresentato molto più che semplici conoscenti.
Il lavoro artistico, l’impegno culturale e l’attività agricola in Toscana proseguono, mentre il lutto resta presente come elemento che attraversa e orienta il vissuto quotidiano. La scelta di ricordare pubblicamente Gian Maurizio Fercioni e Italo Manca inserisce il loro nome all’interno di una narrazione più ampia, quella di una generazione che ha contribuito a definire il volto di Milano e del teatro italiano, lasciando tracce che continueranno a essere riconosciute e studiate anche in futuro.