L’America di oggi e la memoria di ieri
Il successo della serie arriva in un momento delicato per gli Stati Uniti, dove l’amministrazione Trump ha recentemente limitato le politiche di inclusione nelle forze armate, imponendo il congedo dei soldati transgender e cancellando simboli dedicati agli attivisti LGBTQ+. In questo clima, Boots assume un valore politico ancora più forte: non solo una storia di identità personale, ma una riflessione sulla libertà di chi serve un Paese che non sempre lo accetta. La stessa Alice Gorman, archeologa spaziale e consulente scientifica per la serie, ha spiegato che «raccontare la verità dell’esercito significa anche mettere a nudo il prezzo del silenzio».

“Boots” è un racconto necessario
Le recensioni sono state per lo più positive: la critica americana ha lodato la sceneggiatura sobria e la regia essenziale, mentre il pubblico si è diviso tra chi ha apprezzato il coraggio del progetto e chi lo accusa di revisionismo. Alcuni dettagli, come i dialoghi tra reclute o il test finale del campo di addestramento, sono stati giudicati poco realistici dagli ex militari, ma nel complesso Boots riesce nel suo intento: restituire umanità a chi è stato cancellato dalle narrazioni ufficiali. Netflix non ha ancora confermato una seconda stagione, ma il finale aperto lascia intendere che la storia non sia finita. E se anche lo fosse, Boots resterà come uno di quei titoli che, senza rumore, riescono a raccontare un’epoca e a ricordarci che l’identità, come il coraggio, si misura nel silenzio.