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Attacco alla chiesa, ci sono morti e feriti: colpito anche padre Romanelli

Meloni e Tajani rompono il silenzio dopo l’attacco

L’attacco israeliano alla Chiesa della Sacra Famiglia a Gaza scuote gli equilibri della politica italiana. Dopo mesi di posizioni prudenti, Giorgia Meloni rompe il silenzio: “I raid israeliani su Gaza colpiscono anche la chiesa della Sacra Famiglia. Sono inaccettabili gli attacchi contro la popolazione civile che Israele sta dimostrando da mesi. Nessuna azione militare può giustificare un tale atteggiamento”.

Parole che segnano una svolta diplomatica: Palazzo Chigi, storicamente allineato con Israele, mostra ora una nuova sensibilità verso le vittime civili palestinesi, in particolare cristiane. Il simbolo colpito — la chiesa cattolica nel cuore di Gaza — rappresenta una ferita non solo religiosa, ma anche culturale e identitaria per la minoranza cristiana locale.

Anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani interviene con toni netti: “Gli attacchi dell’esercito israeliano contro la popolazione civile a Gaza non sono più ammissibili… (…)Tutta la mia vicinanza a Padre Romanelli, rimasto ferito durante il raid. È tempo di fermarsi e trovare la pace”.

Una presa di posizione che potrebbe segnare un nuovo corso nella politica estera italiana, sempre più chiamata a scegliere tra alleanze storiche e principi umanitari.

Spiragli diplomatici e crisi umanitaria

Parallelamente agli ultimi scontri, alcune aperture diplomatiche emergono sul fronte del conflitto israelo-palestinese. Secondo fonti di stampa araba, Hamas avrebbe accettato una nuova proposta di tregua avanzata da mediatori regionali. L’accordo prevederebbe, tra le altre misure, il ritiro delle forze israeliane dal corridoio di Morag nella parte meridionale della Striscia di Gaza. Si tratta di una concessione significativa, benché le trattative restino in fase preliminare e molte questioni risultino ancora irrisolte.

La situazione umanitaria resta critica. Negli ultimi giorni, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha coordinato una complessa evacuazione medica di 35 pazienti da Gaza verso la Giordania. La maggior parte dei trasferiti sono bambini, accompagnati da 72 familiari, e necessitano di cure salvavita. Il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha rivolto un appello urgente alla comunità internazionale affinché altri Paesi si rendano disponibili a ricevere pazienti gravi provenienti dall’area di crisi.

Nonostante i tentativi di dialogo, la cessazione delle ostilità appare ancora lontana. Fonti diplomatiche sottolineano la fragilità dell’intesa e la presenza di numerosi nodi politici, tra cui il destino degli ostaggi e la questione del disarmo delle fazioni armate. Anche l’apertura di corridoi umanitari e il ritiro da aree strategiche restano oggetto di negoziato.

Nuova ondata di violenza in Siria

La crisi regionale si estende anche alla Siria, dove nella provincia meridionale di Sweida si sono verificati violenti scontri che hanno provocato la morte di oltre 350 persone. Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio siriano per i diritti umani, tra le vittime si contano 79 combattenti drusi, 55 civili, 189 militari governativi e 18 membri delle comunità beduine. Le tensioni hanno coinvolto anche milizie locali e determinato l’arretramento delle truppe siriane dalla zona.

Alla già grave situazione si sono aggiunte le conseguenze di attacchi aerei israeliani nella regione di Latakia, dove almeno 15 tra militari e agenti di sicurezza hanno perso la vita. Secondo fonti locali, Israele avrebbe colpito un quartier generale militare affiliato a gruppi legati all’Iran, contribuendo a un’escalation che accresce la tensione tra Damasco e Tel Aviv.

Di fronte al deterioramento della sicurezza a Sweida, il presidente ad interim siriano Ahmad al-Sharaa, conosciuto anche come Al-Jolani, ha annunciato un cambiamento nella gestione dell’ordine pubblico. In un videomessaggio trasmesso dalla televisione di Stato nelle ore notturne, ha dichiarato che saranno le fazioni druse locali e i loro leader spirituali ad assumere la responsabilità della difesa della regione. “I siriani non temono una nuova guerra, ma vogliono difendere l’unità del Paese da chi cerca di dividerlo”.

Escalation delle tensioni e futuro incerto

Al-Sharaa ha inoltre condannato le azioni militari israeliane, definendole un tentativo di creare “fratture interne” tra le minoranze religiose della Siria. Ha sottolineato che “proteggere i cittadini drusi è la nostra priorità“, segnalando la possibilità di un ampliamento della crisi in caso di ulteriore aggravamento della situazione.

Nel frattempo, secondo fonti egiziane, le trattative tra Israele e Hamas – mediate da Il Cairo e dal Qatar – restano estremamente fragili. Alcuni rapporti fanno riferimento a “intese parziali” riguardo il ritiro da zone chiave e l’apertura di corridoi umanitari, ma l’accordo complessivo sul cessate il fuoco è ancora lontano dall’essere raggiunto.

Il Wall Street Journal riporta le parole dell’inviato speciale degli Stati Uniti, David Satterfield, secondo il quale, nonostante i segnali di apertura da parte di Hamas, “non ci sarà un accordo completo a breve“, a causa delle numerose questioni politiche ancora irrisolte. Tra queste, il rilascio degli ostaggi, il ruolo dell’Autorità Palestinese e il disarmo delle fazioni armate restano al centro del dibattito.

Il Medio Oriente appare oggi sempre più segnato da una fragilità sociale e religiosa crescente. Le recenti violenze a Gaza e Sweida sono divenute simbolo delle difficoltà che colpiscono le comunità locali. Mentre le trattative diplomatiche proseguono a fatica, la guerra continua a lasciare profonde ferite tra la popolazione civile e a mettere a rischio i luoghi simbolo della coesistenza e della fede.

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