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“Devo dire di Alberto Stasi”. Garlasco, la denuncia shock di Raffaele Sollecito

Una nuova vita in Puglia, tra tecnologia e libertà vigilata dal passato

Oggi Raffaele Sollecito vive in Puglia, dove lavora nel settore digitale come cloud architect. «Progetto infrastrutture digitali per aziende di medie e grandi dimensioni», racconta.
Un lavoro che gli ha restituito stabilità e indipendenza, ma che non basta a cancellare il peso del passato.
«Ho ricostruito la mia vita professionale, ma non la percezione che gli altri hanno di me. A volte sento ancora addosso il sospetto di chi non riesce ad accettare la mia innocenza».
Sollecito descrive un equilibrio fragile tra rinascita e ferite ancora aperte, un percorso personale segnato dalla voglia di normalità e dalla consapevolezza di essere ancora, per molti, “quello del delitto di Perugia”.

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Alberto Stasi, ritratto
Ritratto di Meredith Kercher e Chiara Poggi

Il ruolo dei media e la condanna dell’opinione pubblica

Le parole di Sollecito riportano al centro dell’attenzione il potere dei media e il loro ruolo nei grandi processi mediatici.
«Ci sono condanne che nessuna sentenza può cancellare», dice con amarezza. Un concetto che pesa come un monito, soprattutto nell’epoca dei social, dove la gogna virtuale diventa spesso più dura di quella giudiziaria.
L’ex imputato si dice consapevole di essere parte di un sistema che raramente dimentica e ancor più raramente perdona.
«L’assoluzione è un punto di arrivo solo sulla carta. Nella vita reale, resta sempre una macchia. La libertà vera è quella dagli sguardi di chi non crede alla tua innocenza».

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