Il nodo della coerenza (smarrita nei boschi)
Il presidente onorario dell’associazione ha rincarato la dose, definendo la vicenda “una narrazione potente, capace di raccontare un Abruzzo naturale, libero e ricco di esperienze umane che altrove sono scomparse”. Fin qui, legittimo: un aiuto a una famiglia in difficoltà può essere una scelta sensata e perfino doverosa. Il problema nasce quando l’argomentazione si ribalta su sé stessa: il contributo non verrebbe richiesto per aiutare i minori, ma come premio per il “ritorno d’immagine”. Una giustificazione che apre una voragine logica difficile da ignorare. Perché qui non stiamo parlando di un agriturismo virtuoso o di un progetto culturale ben riuscito, ma di una famiglia che ha scelto di vivere fuori da tutto – senza acqua corrente, senza elettricità, senza dispositivi digitali – e che, a causa di quella stessa scelta, è stata oggetto di interventi urgenti da parte dei servizi sociali. Davvero vogliamo trasformare un caso problematico in una cartolina pubblicitaria? E soprattutto: da quando misura il valore di un territorio il numero di servizi televisivi generati da una vicenda giudiziaria?

Un paradosso più grande del bosco stesso
Il paradosso finale è quasi grottesco. Si propone di premiare economicamente una famiglia che rifiuta la società contemporanea, desidera sparire dai radar della modernità, rifugge ogni istituzione e ogni forma di vita urbanizzata… proprio perché, ironia delle ironie, è diventata involontariamente virale. Una famiglia che non vuole lo smartphone, né la scuola tradizionale, né tantomeno la rete elettrica, e che ha sperimentato sulla propria pelle che anche un bosco incontaminato può nascondere funghi velenosi. E noi che facciamo? La celebriamo come testimonial.
Il punto è questo: i problemi reali della vicenda esistono, non sono propaganda. L’intossicazione da funghi, le fragilità dei minori, le criticità educative, tutto è agli atti. È davvero questo il momento di trasformare una situazione già delicata in un caso di marketing territoriale? La verità, forse, è che siamo talmente affamati di “storie” da prendere per oro colato qualunque cosa abbia un minimo di eco mediatica. E così, fra un titolo suggestivo e una “narrazione potente”, finiamo col perdere di vista la coerenza. E talvolta anche il buon senso.