Paolo Crepet: “È colpa nostra, tutti complici del silenzio”
Lo psichiatra non si limita a smentire la tesi del raptus: punta il dito su un’intera società indifferente, superficiale, compiacente. “Quello che sta accadendo è quello che abbiamo voluto”, afferma. “C’è qualcuno contro i social? Qualcuno che ha detto che a 13 anni non si possono usare i social? Se uno ha un profilo social a 11 anni c’è un problema”.
Crepet sottolinea la responsabilità collettiva, l’assenza di controllo, la delega all’intrattenimento digitale. Ma soprattutto denuncia il silenzio: “La colpa è di chi sceglie di star zitto, di far l’indifferente, di dire ‘ah, ma chissà da quale famiglia è venuto fuori quello lì, noi siamo un’altra cosa’”.
Il suo affondo è lucido, doloroso e necessario. Perché non si tratta di un caso isolato, ma del riflesso di una cultura che abdica al ruolo educativo, che preferisce ignorare i segnali, chiudere gli occhi davanti all’evidenza, minimizzare il disagio per non mettere in discussione se stessa.
Adolescenza tradita: tra egoismo, social e famiglie assenti
Il discorso di Crepet è un j’accuse verso le famiglie, verso il modo in cui oggi si gestisce l’adolescenza. “Questa sera decine di migliaia di ragazzine a 13 anni usciranno, non alle nove, a mezzanotte. Non ho mai conosciuto un padre che si mette davanti alla porta”, dice lo psichiatra. “Anzi, quel padre o quella madre non solo aprono la porta e gli dicono ‘divertiti’, ma gli danno pure 100 euro”.
Parole scomode, certo. Ma quanto mai necessarie. Perché denunciano l’assenza di limiti, la superficialità delle relazioni, la solitudine profonda dei più giovani. Un vuoto che i social riempiono con modelli distorti, dove l’identità si costruisce a colpi di like e dove l’amore si confonde con il possesso.
“Abbiamo celebrato la serie Adolescence, ma nessuno ha ragionato sul suo significato, sulla storia”, incalza Crepet. Siamo, dice, “in un baratro per puro egoismo, per pace sociale, perché non vogliamo sentire il peso di tutta questa cosa”. Un baratro in cui non siamo precipitati all’improvviso, ma in cui abbiamo camminato consapevolmente, passo dopo passo, dietro lo schermo della normalità.