Le fratture nell’opposizione
Il confronto interno alle opposizioni non è stato privo di tensioni. Conte ha disdetto i suoi appuntamenti elettorali in Calabria per essere presente in Aula, e non ha risparmiato parole dure: «È ardito chiedere un voto compatto dopo che questo governo ha finto di non vedere un genocidio, con 20 mila bambini uccisi». Tuttavia, alla fine, la linea prevalente è stata quella di non bloccare un piano che, pur con limiti evidenti, apre uno spiraglio verso un cessate il fuoco. I riformisti del Pd hanno spinto fin dall’inizio per un atteggiamento pragmatico, sottolineando che dire “no” tout court sarebbe stato percepito come un rifiuto del dialogo. Azione, Italia Viva e +Europa, invece, hanno scelto senza esitazioni di votare a favore del piano Trump, ribadendo la loro collocazione europeista e atlantista.

Una risoluzione comune per distinguersi
Pd, M5s e Avs hanno comunque deciso di presentare una risoluzione alternativa, illustrata in assemblea dal responsabile Esteri dem Giuseppe Provenzano. «Il piano Trump può essere un passaggio verso la pace – ha ribadito Lorenzo Guerini a nome dei riformisti – ma sul riconoscimento della Palestina e sull’atteggiamento del governo nei confronti della Flotilla non possiamo tacere». La scelta di un documento unitario delle opposizioni serve a marcare la distanza con la maggioranza e a mantenere la questione palestinese al centro del dibattito. Tra accuse di complicità e richieste di corridoi umanitari, la battaglia politica resta aperta. E la Flotilla, con la sua vicenda ancora incerta, continua a gettare un’ombra lunga sulla tenuta del governo italiano nella crisi mediorientale.