La telefonata e il peso del sospetto
Le parole di Stefania Cappa, riportate da Libero Quotidiano citando Il Tempo, sono dirette: “Non ce ne frega niente… della tua bici, delle tue scarpe e dei tuoi vestiti…”.
È la telefonata intercettata nel 2008 a mostrare il volto umano e fragile di questa vicenda. Stefania Cappa, parlando con un amico, esprime una frustrazione mista a rabbia, ma anche consapevolezza della complessità del momento:
“Gli ho detto… loro mi conoscono sanno che sono una testa calda, gli ho detto: ‘voi sapete come sono io… e comunque io so… ho sempre collaborato con voi nel massimo del rispetto e tutto quello che volete, comunque se ho il carattere così è perché sono le situazioni che mi hanno resa così…Quando vi trovate una sorella in quelle condizioni, una madre che si considera un po’ una fallita…(…) quando ti ritrovi di dover rispondere alla domanda di mia zia: come mai la Chiara (Poggi,ndr) non c’è più? Vorrei vedere voi”
Il contesto è quello di una famiglia colpita, spezzata da un evento tragico, che si trova a dover giustificare ogni gesto, ogni oggetto, ogni ricordo.
Nel racconto riportato da Libero Quotidiano, la donna si sarebbe lamentata anche del tempismo dell’intervento dei carabinieri:
“Allora se volevate solo il tutore perché non siete venuti… a prendervelo sei mesi fa quando è successo il delitto?”
E ancora, il commento dei militari su cui riflette amaramente:
“È perché se fossimo venuti immagina cosa avrebbero detto i media?”
Una frase che apre un varco su quanto la gestione dell’immagine pubblica sia stata centrale anche nei momenti più delicati dell’inchiesta.