Il piano Trump e le dichiarazioni dei leader
Donald Trump ha pubblicato una mappa del piano di pace sulla piattaforma Truth, manifestando la volontà di investire gran parte del suo capitale politico per la conclusione di un accordo stabile. L’ex presidente degli Stati Uniti punta ad ampliare gli Accordi di Abramo coinvolgendo ulteriori paesi del Golfo e collegando il processo di pace al grande progetto di ricostruzione di Gaza. Trump non ha esitato a lanciare un monito ad Hamas: “non tollererà ritardi”, pur assicurando che “tutte le parti saranno trattate con equità”. Ha inoltre sottolineato la sua influenza personale su Netanyahu: “Gli ho detto che deve essere d’accordo con me. Non ha scelta”. Dal canto suo, Benjamin Netanyahu ha presentato i negoziati in Egitto come una vittoria politica per Israele. “Siamo sul punto di ottenere un grande risultato – ha dichiarato – spero di poter annunciare presto il rilascio di tutti i nostri ostaggi”. Tuttavia, ha ribadito la posizione di Israele: “Rimarremo nei territori che controlliamo”. Questa affermazione si pone in contrasto con il piano di Trump, che prevede invece un ritiro progressivo supervisionato da Qatar e Turchia come garanti.

Le concessioni internazionali e i rischi di un equilibrio instabile
Secondo fonti diplomatiche, gli Stati Uniti avrebbero già avanzato importanti concessioni per favorire l’intesa. Tra queste, un patto di mutua difesa offerto all’emiro del Qatar, Al Thani, e la promessa di forniture militari alla Turchia di Erdogan in cambio del loro ruolo di garanti nel processo di pace. Nelle ultime ore, Trump ha confermato che Israele ha accettato una linea di ritiro iniziale e che, una volta ricevuta la conferma da Hamas, entrerà in vigore “un cessate il fuoco immediato”, seguito da uno scambio di ostaggi e prigionieri. “Siamo vicini alla fine di questa catastrofe”, ha dichiarato il tycoon. Resta tuttavia una situazione estremamente fragile: mentre i leader politici si confrontano sui tavoli delle trattative internazionali, a Gaza la popolazione continua a vivere sotto la minaccia costante dei bombardamenti e delle privazioni.
L’offensiva in corso ha aggravato ulteriormente la già delicata situazione umanitaria nella Striscia di Gaza. Le organizzazioni non governative denunciano la distruzione di infrastrutture essenziali, la mancanza di acqua potabile e un’emergenza sanitaria senza precedenti. Decine di migliaia di persone sono state costrette ad abbandonare le proprie abitazioni, trovando rifugio in scuole e strutture improvvisate, spesso prive di elettricità e assistenza medica. La comunità internazionale continua a esercitare pressioni sui governi coinvolti affinché venga raggiunto un accordo duraturo. Le Nazioni Unite, l’Unione Europea e numerosi paesi arabi hanno richiesto una soluzione che garantisca la sicurezza della popolazione civile e il rispetto dei diritti umani. Tuttavia, la strada verso un vero cessate il fuoco appare ancora lunga e complessa, tra interessi divergenti e profonde tensioni politiche.
In attesa di sviluppi concreti sul fronte dei negoziati, la popolazione di Gaza rimane sospesa tra la speranza di una pace ormai urgente e il timore che la tregua possa svanire ancora una volta sotto il rumore delle bombe.