Sospensione delle operazioni israeliane: la situazione sul campo
Secondo fonti locali, tra cui l’emittente N12, Israele ha interrotto sia gli attacchi aerei che quelli terrestri su tutta la Striscia di Gaza a partire dalla mattina successiva alle richieste statunitensi. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) sono ora impegnate esclusivamente in operazioni difensive, mantenendo le posizioni già acquisite e circondando Gaza City, ma evitando nuove offensive. La decisione risponde direttamente alla direttiva politica americana e mira a creare le condizioni per il rilascio sicuro degli ostaggi.
Nonostante la sospensione delle azioni offensive, la situazione nella Striscia rimane estremamente delicata. L’Aeronautica aveva continuato a colpire obiettivi fino alle prime ore del giorno, ma ora le IDF sono autorizzate a intervenire solo in caso di minaccia imminente alle truppe dispiegate. Gaza City, epicentro delle ultime settimane di combattimenti, resta sotto stretto controllo militare.
Leggi anche: Guerra, le parole di Trump fanno paura: l’annuncio poco fa
La reazione di Israele all’annuncio di Trump
La reazione ufficiale di Israele non è ancora arrivata. Il silenzio è dovuto anche al fatto che il paese osserva lo Sabbath ebraico, il giorno di riposo che sospende tutte le attività istituzionali fino al tramonto di sabato. Questo elemento temporale e religioso impedisce decisioni immediate, spostando l’attenzione sull’attesa della risposta israeliana che sarà determinante per il futuro delle trattative.
L’ordine di cessate il fuoco da parte di Trump è giunto proprio in questo contesto, lasciando la comunità internazionale in attesa della posizione ufficiale di Tel Aviv. L’accettazione dell’ultimatum americano da parte di Israele potrebbe segnare l’inizio di una fase di de-escalation e di rilascio degli ostaggi, ma un eventuale rifiuto rischia di incrinare i rapporti tra Washington e il suo alleato storico in Medio Oriente.
Origini della crisi e dinamiche diplomatiche
Il conflitto israelo-palestinese ha radici profonde, e ogni tentativo di mediazione è sempre stato ostacolato da divergenze politiche, religiose e territoriali. L’attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas ha rappresentato una delle pagine più oscure, con l’uccisione di centinaia di persone e il rapimento di numerosi civili e militari. Da allora, le ostilità si sono intensificate, causando migliaia di vittime e una crisi umanitaria senza precedenti a Gaza.
La svolta attuale arriva dopo mesi di negoziati sottotraccia e pressioni internazionali. Gli Stati Uniti hanno esercitato un ruolo di primo piano, utilizzando sia la leva diplomatica sia quella militare per indirizzare le parti verso una soluzione. L’ultimatum imposto da Trump si inserisce in questa strategia, con l’obiettivo dichiarato di costringere Hamas ad accettare concessioni che in passato erano sempre state rifiutate.
La dichiarazione di Hamas, definita “significativa” da diversi analisti, apre nuovi scenari anche all’interno del panorama politico palestinese. Accettare di rinunciare al potere rappresenta una svolta storica, mai registrata in precedenza, e pone le basi per una possibile transizione ad altre forze di governo o a una gestione internazionale temporanea della Striscia di Gaza. Allo stesso tempo, il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti e la minaccia di una escalation militare hanno contribuito a modificare la percezione di urgenza tra le fazioni palestinesi. Le consultazioni interne richieste da Hamas sono la conferma di equilibri ancora fragili, e di una leadership che deve trovare il consenso tra le diverse anime del movimento.
