Guido Crosetto e il piano decennale da 1,5 miliardi
Lo stanziamento miliardario servirà ad acquistare una maxi-partita di armi e materiale militare. L’elenco è lungo: «mine di varia tipologia», «cariche da demolizione» per ostacolare la mobilità nemica, ma anche droni aerei e terrestri (Unmanned Ground Vehicle), pensati per proteggere l’avanzata delle truppe alleate.
Un’attenzione particolare è dedicata alla mobilità tattica: il piano include la costruzione di ponti anfibi e galleggianti, passerelle pedonali tattiche e l’acquisto di oltre cento veicoli tattici leggeri, con lo scopo di «aumentare la capacità di penetrazione e offensività» dei soldati via terra.
Quasi un miliardo di euro (877 milioni) sarà destinato all’acquisto di 83 mezzi anfibi, destinati a rendere più rapido e sicuro il superamento di ostacoli naturali come fiumi o terreni impervi.
Ma la vera rivoluzione sarà nel metodo: la capacità di “mappare” i territori più difficili e garantire la mobilità strategica del contingente italiano in missioni multinazionali. Tutto ciò in linea con le direttive e gli standard fissati dalla Nato, che chiedono agli Stati membri di potenziare le strutture logistiche e ingegneristiche in vista di possibili conflitti su larga scala.

Genio: il dibattito politico, le implicazioni strategiche e industriali
Dietro la freddezza dei numeri, si muove un dibattito politico e industriale di grande rilievo.
Il riarmo selettivo voluto dal ministero della Difesa non mira soltanto ad allineare l’Italia agli obiettivi Nato, ma apre anche una fase di investimenti nella filiera industriale della difesa, con effetti potenzialmente significativi per aziende e territori.
La scelta di spostare il baricentro dalle missioni umanitarie – in cui l’Italia è da sempre protagonista, dal Kosovo al Niger, fino al nuovo impegno per Gaza – verso una preparazione convenzionale divide esperti e osservatori.
Come riporta Il Messaggero, la convinzione che emerge dal governo è che «in ottica di cambio di paradigma è necessario rigenerare le capacità di condurre operazioni di combattimento su larga scala a livello Brigata, Divisione e Corpo d’Armata».
Una prospettiva che, nelle parole di Crosetto, non rappresenta un ritorno alla logica della “guerra fredda”, ma una presa d’atto delle nuove minacce ai confini europei e della necessità di un esercito pronto «a combattere una guerra convenzionale».
Le implicazioni strategiche sono ampie: addestramento, tecnologia e interoperabilità saranno i tre assi di un percorso lungo, costoso e politicamente delicato.
Nel frattempo, tra le righe dei documenti, si delinea un nuovo ruolo per il Genio militare italiano: da costruttore di pace a garante della resilienza operativa. Non è – come scrive con sottile ironia Il Messaggero – “(solo) un’esercitazione”.