Il nodo della dichiarazione da firmare
Uno degli aspetti più controversi riguarda la documentazione che Israele sottoporrà agli attivisti. Secondo fonti vicine alla Flotilla, i fermati dovranno firmare un modulo che equivale a un’ammissione di colpa, in cui si dichiara di aver violato i confini marittimi israeliani. Una formula contestata dai legali e dagli stessi attivisti, poiché il diritto internazionale non riconosce la sovranità di Israele sulle acque davanti a Gaza.
Chi firmerà la dichiarazione potrà essere rimpatriato in tempi brevi. Chi invece rifiuterà rischia la detenzione in carcere e un’udienza con il giudice, con possibili ritardi e complicazioni burocratiche. La scelta rischia di dividere il gruppo: tra chi punta a tornare subito a casa e chi, per coerenza politica e giuridica, potrebbe rifiutare di sottoscrivere un documento considerato illegittimo.
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Le reazioni e gli scenari
La Farnesina ha ribadito di “monitorare costantemente la situazione” e il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha assicurato che i primi rimpatri avverranno “entro un paio di giorni”. Intanto, sui social e nel dibattito politico, si moltiplicano le polemiche. Da una parte chi considera la missione “irresponsabile e provocatoria”, come già dichiarato dalla premier Giorgia Meloni, dall’altra chi sottolinea la gravità di un’intercettazione condotta in acque internazionali, definita una violazione del diritto internazionale.
Resta l’incognita sulle conseguenze diplomatiche. Se il caso verrà risolto con rapidi rimpatri, la vicenda potrebbe chiudersi senza particolari strappi. Ma se dovessero emergere abusi, violenze o tempi lunghi di detenzione, la tensione tra Roma e Tel Aviv rischia di salire, riaccendendo il dibattito europeo sul blocco navale israeliano su Gaza.