Nessun picco radioattivo, ma restano troppe incognite
A complicare ulteriormente il quadro è l’assenza di variazioni nei livelli di radioattività nei pressi degli impianti bombardati, rilevata sia dall’Aiea sia dall’ente atomico iraniano. Un dato che solleva nuove domande: se i siti contenevano davvero uranio arricchito, perché non ci sono state dispersioni? La risposta più plausibile, secondo le fonti iraniane, è che il materiale sia stato evacuato in extremis, soprattutto da Fordow.
Lo stesso Marco Rubio, segretario di Stato americano, ammette che “ci vorranno diversi giorni” per sapere se Teheran sia riuscita a far sparire una parte dell’uranio. E nel frattempo, ogni parte continua a diffondere la propria versione, in un rimbalzo di proclami e propaganda che offusca i fatti.

Teheran sfida Washington
La linea ufficiale dell’Iran è chiara: danni sì, ma il programma nucleare non è stato annientato. Le autorità rivendicano di avere salvato il know-how tecnico-scientifico e, in alcuni casi, anche il materiale fisico. Non a caso, nei comunicati ufficiali, si insiste sul concetto di “danni limitati”, e sulla narrativa di una resistenza che ha saputo prevedere e contenere l’attacco. Resta tuttavia il confronto asimmetrico tra le parole e le immagini, tra le valutazioni israeliane e le rassicurazioni iraniane, tra la spettacolarizzazione di Trump e le dichiarazioni misurate di alcuni analisti. In mezzo, la realtà sotterranea di Fordow, ancora avvolta nel silenzio e nella roccia, che solo nei prossimi giorni – forse – comincerà a parlare.