La posizione degli azzurri
In questi giorni non sono mancate richieste agli azzurri di prendere posizione più netta. Alcune associazioni e gruppi di tifosi hanno chiesto apertamente alla Nazionale di non scendere in campo nella gara di ritorno prevista a ottobre a Udine. Un appello che riflette il dibattito acceso attorno al conflitto in corso, ma che non trova spazio nelle decisioni ufficiali della Federcalcio. Il c.t. Rino Gattuso, alla vigilia della sfida, ha affrontato l’argomento con parole misurate: «La situazione è nota a tutti. Fa male vedere quello che sta succedendo, persone e bambini che perdono la vita, più di questo non voglio dire. Siamo qui per fare la partita e rispettare il nostro lavoro. C’è tanto rispetto e c’è tanto dolore». Un equilibrio difficile: rispettare il campo e il ruolo della Nazionale senza ignorare il peso del contesto internazionale.

Protesta o messaggio politico?
La scelta degli ultrà italiani non è un episodio isolato. Ogni gesto, dagli striscioni alle contestazioni durante gli inni, finisce per inserirsi in un discorso più ampio, quello del rapporto tra sport e politica. Voltare le spalle a un inno nazionale non è un gesto neutro: rappresenta una forma di dissenso che va ben oltre il calcio e che inevitabilmente richiama le cronache di guerra. Per i giocatori, invece, resta il compito di mantenere l’attenzione sul campo, con la consapevolezza che ogni partita contro Israele non può essere considerata “solo” un appuntamento sportivo.