L’assalto leghista sulle pensioni e la rottura con Giorgetti
La minaccia politica pesa come un macigno sulle ultime ore di esame della manovra. La linea dura di Romeo non è improvvisata: porta la firma di Matteo Salvini, che secondo quanto riferito avrebbe seguito passo dopo passo l’evoluzione del confronto, arrivando a valutare persino l’ipotesi estrema di “uscire dal governo”, come riporta la Repubblica, nel caso in cui non fosse arrivato un segnale chiaro di correzione da parte del ministro dell’Economia.
Dietro l’aut aut pronunciato dal capogruppo Romeo si colloca una linea politica maturata nelle ore precedenti, in stretto raccordo con il leader della Lega. Al centro della contesa ci sono le misure previdenziali inserite nel testo del maxi-emendamento: in particolare la stretta sul riscatto della laurea e l’allungamento delle cosiddette finestre mobili per l’uscita anticipata dal lavoro, ritenute penalizzanti per alcune categorie di lavoratori e lontane dalle promesse elettorali del Carroccio.
Per una parte del partito queste norme rappresentano un cedimento eccessivo alle esigenze di finanza pubblica, a scapito del profilo sociale rivendicato dalla Lega. La scelta di forzare la mano si traduce così in una vera e propria sconfessione politica di Giorgetti, accusato dai suoi di aver “fatto un pasticcio” nella gestione del dossier previdenziale e di non aver difeso con sufficiente decisione le richieste provenienti dall’area leghista del governo.
La telefonata tra Romeo e Giorgetti è breve ma segnata da forte tensione. Il ministro dell’Economia tenta di difendere l’architettura delle norme inserite nel maxi-emendamento, sottolineando come alcuni meccanismi possano essere corretti prima dell’entrata in vigore e come le clausole di salvaguardia siano necessarie per mantenere l’equilibrio complessivo del sistema previdenziale, già sotto pressione per l’invecchiamento demografico e i vincoli europei sui conti pubblici.
Le spiegazioni tecniche di Giorgetti però non modificano la posizione dei vertici leghisti, determinati a ottenere lo stralcio immediato delle disposizioni più controverse. La sensazione che filtra dai corridoi del Senato è quella di una rottura non solo sul merito delle norme, ma sul rapporto di fiducia interno al partito, con un ministro dell’Economia sempre più isolato rispetto alla linea politica impressa da Salvini.

La cabina di regia tra Mef, Palazzo Chigi e Ragioneria generale
Dopo il confronto telefonico, la voce di Giorgetti viene messa in vivavoce nella stanza del Senato dove si trovano il sottosegretario all’Economia Federico Freni e il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani. In collegamento partecipa anche la Ragioniera generale dello Stato, Daria Perrotta, figura chiave per la valutazione delle coperture e della sostenibilità delle modifiche richieste dalla politica.
Da quella stanza parte il filo diretto con Palazzo Chigi, affidato al capo di gabinetto della Presidenza del Consiglio, Gaetano Caputi. Il coordinamento complessivo del negoziato viene seguito dal sottosegretario alla Presidenza, Alfredo Mantovano, che lavora per evitare che lo scontro interno alla maggioranza si trasformi in una crisi difficilmente gestibile, a ridosso della scadenza di fine anno per l’approvazione della manovra.
Il faccia a faccia a distanza dura circa un’ora e mette in evidenza un problema che è al tempo stesso politico e tecnico. Eliminare in blocco le norme sulle pensioni chiedendo lo stralcio dal maxi-emendamento significa far venir meno una parte rilevante delle coperture che servono a finanziare il pacchetto di misure destinate alle imprese e al mondo produttivo. Quei fondi sono considerati strategici da tutto l’esecutivo, in particolare da chi si occupa di infrastrutture e crescita economica.
All’interno del testo sono infatti collocate risorse di peso, tra cui misure per circa un miliardo di euro riconducibili al Mit guidato da Salvini: dal Piano casa agli interventi per la mobilità, fino alla rimodulazione dei finanziamenti destinati al Ponte sullo Stretto. Toccare l’equilibrio di quella parte della manovra comporterebbe la necessità di riscrivere in corsa anche altre voci di spesa, con il rischio concreto di allungare ulteriormente i tempi parlamentari e di complicare i rapporti con Bruxelles.
L’exit strategy del decreto legge e il calendario a rischio
Per sciogliere il nodo, al termine del confronto viene delineata una exit strategy d’emergenza. La soluzione individuata prevede lo scorporo delle norme contestate in materia di pensioni e il recupero di tutte le altre misure rilevanti attraverso un apposito decreto legge da varare in Consiglio dei ministri entro la fine dell’anno. In questo modo, spiegano fonti governative, gli impegni assunti con le imprese non verrebbero toccati e le misure potrebbero entrare in vigore dal primo gennaio.
A chiarire la linea è il sottosegretario all’Economia Federico Freni, che assicura come nessuna delle risorse destinate al sostegno del tessuto produttivo andrà perduta. Secondo quanto viene riferito, tutto ciò che era stato previsto per il mondo delle imprese, per le infrastrutture e per gli incentivi fiscali troverà posto nel nuovo provvedimento o nel decreto legge annunciato, evitando vuoti normativi o ritardi nell’attuazione.
Il prezzo politico di questa soluzione, tuttavia, è evidente. La Finanziaria arriva alla Camera con un calendario ulteriormente compresso, mentre il 30 dicembre si trasforma nella data decisiva per scongiurare l’ipotesi dell’esercizio provvisorio, lo scenario che si verificherebbe nel caso in cui la legge di bilancio non venisse approvata in tempo utile, costringendo lo Stato a gestire la spesa pubblica mese per mese.
Nel frattempo, a Palazzo Chigi e nei gruppi parlamentari cresce la consapevolezza che la vicenda della manovra ha messo a nudo la fragilità dei rapporti tra gli alleati di governo. Il braccio di ferro sulle pensioni ha riguardato un singolo capitolo di spesa, ma ha fatto emergere pubblicamente la distanza tra l’impostazione prudente del ministro Giorgetti e la linea più identitaria e rivendicativa della Lega guidata da Salvini.

Una manovra salvata sul filo e una maggioranza segnata
Quella consumata nelle stanze del Senato è una notte destinata a lasciare un segno profondo nella storia di questa manovra. Il provvedimento economico viene formalmente salvato, grazie alla scelta di ricorrere a un decreto legge ad hoc e di mantenere intatte le misure per le imprese, ma il conflitto interno alla maggioranza si manifesta in tutta la sua evidenza, mostrando un governo costretto a cercare in extremis soluzioni di emergenza per rimediare a fratture politiche ormai difficili da nascondere.
La tensione tra la Lega e il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti apre interrogativi sul futuro assetto degli equilibri interni al partito e sull’evoluzione dei rapporti tra le forze che sostengono l’esecutivo. La telefonata dai toni ultimativi, con la minaccia di “uscire dal governo” se non ci fosse stato un ripensamento sulle pensioni, rappresenta un passaggio inedito nella dialettica tra alleati, tanto più perché rivolto a un ministro proveniente dallo stesso schieramento politico.
Dal punto di vista istituzionale, la scelta di affidare a un decreto legge la parte più delicata delle misure economiche testimonia l’urgenza di non mettere a rischio i tempi di approvazione della Finanziaria, ma conferma anche una tendenza ormai consolidata a utilizzare la decretazione d’urgenza per gestire gli snodi più complessi delle politiche di bilancio. Un percorso che richiederà, nelle prossime settimane, ulteriori passaggi parlamentari di conversione e nuovi voti di fiducia.
La notte della manovra, tra telefonate concitate, riunioni informali e mediazioni tecniche, si chiude con un compromesso che evita l’esercizio provvisorio ma lascia aperti molti nodi politici. La maggioranza esce da questa prova con una ferita evidente nei rapporti interni, mentre il governo si trova a dover dimostrare, già dalle prossime decisioni, la capacità di mantenere un equilibrio stabile tra esigenze di bilancio, promesse elettorali e coesione tra le forze che lo sostengono.
La manovra è stata dunque salvata sul filo, ma il confronto di queste ore ha messo in luce quanto fragile possa diventare la stabilità politica quando le scelte economiche toccano temi sensibili come le pensioni, il welfare e le priorità di spesa. Un equilibrio che, alla vigilia del nuovo anno, resta sotto osservazione sia sul piano interno sia sul fronte europeo, dove l’Italia è chiamata a garantire il rispetto degli impegni presi sui conti pubblici.