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Nave messa sotto sequestro, scoppia il caso politico: chi c’è a bordo

Un’operazione di soccorso in mare, una decisione presa sotto la pressione del maltempo e un approdo diverso da quello assegnato. È bastato questo per trasformare l’arrivo della nave Mediterranea nel porto di Trapani in un caso politico di portata nazionale. L’imbarcazione, gestita dalla ong Mediterranea Saving Humans, è finita sotto sequestro amministrativo dopo aver disatteso l’ordine di dirigersi verso Genova, porto designato dalle autorità.

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La sfida tra norme e vita umana

A bordo c’erano dieci persone in condizioni critiche, recuperate nel Mediterraneo centrale mentre onde alte più di due metri e mezzo rendevano impossibile navigare verso il Nord Italia. L’equipaggio ha scelto Trapani, considerandolo il porto sicuro più vicino. Una scelta dettata dall’urgenza, secondo la ong, ma interpretata come violazione del decreto Piantedosi, la normativa che dal 2023 regola rigidamente le attività delle navi umanitarie.

Cosa prevede il decreto Piantedosi

Le regole introdotte dal decreto sono chiare:
• obbligo di richiedere immediatamente il porto di sbarco;
• divieto di missioni multiple nello stesso viaggio;
• rispetto rigoroso delle destinazioni indicate dalle autorità.

Chi non si adegua rischia il fermo amministrativo e sanzioni pecuniarie. Ed è proprio ciò che è accaduto alla Mediterranea, ora bloccata in banchina in attesa della decisione del prefetto di Trapani: lo stop potrebbe durare da venti giorni a diversi mesi.

La difesa della ong

Dal canto suo, Mediterranea Saving Humans non arretra: «Non è stata disobbedienza, ma necessità», ha spiegato l’organizzazione, richiamando le convenzioni internazionali che impongono l’obbligo di portare in salvo le persone in mare nel porto sicuro più vicino. La priorità, sostengono, è stata salvaguardare vite umane e ridurre al minimo i rischi per migranti ed equipaggio.

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