Un dramma che nasce tra i banchi: la scuola sotto accusa
Secondo quanto emerso dagli accertamenti, la situazione di bullismo si sarebbe protratta per diversi mesi, coinvolgendo atti di esclusione sociale, insulti e prese in giro. I genitori di Paolo hanno fornito agli investigatori tutte le informazioni raccolte, comprese le conversazioni avute con altri genitori e docenti, oggi oggetto di attenta valutazione da parte della magistratura. La scuola, per sua parte, ha avviato una revisione interna sulle procedure adottate in materia di prevenzione e contrasto al bullismo.
La dirigente scolastica ha riconosciuto la difficoltà nel gestire i conflitti tra alunni, sottolineando come le dinamiche tra pari possano sfuggire al controllo degli adulti. Alcuni insegnanti, però, continuano a sminuire la gravità della situazione, parlando di “normali incomprensioni adolescenziali”. Nemmeno la psicologa dell’istituto era riuscita a cogliere appieno l’entità del disagio vissuto da Paolo.


Le parole che segnano: il peso delle offese e l’indifferenza
Durante le indagini, è emersa una frase pronunciata da alcuni coetanei di Paolo e riportata da Sergio al Corriere della Sera: “Ormai è morto, e ci cachi gliu cazz…”. Un’affermazione che testimonia il clima di indifferenza e superficialità con cui spesso vengono affrontate le sofferenze altrui. Solo dopo essersi resi conto di essere ascoltati, i ragazzi hanno cambiato atteggiamento, evidenziando come il contesto sociale giochi un ruolo fondamentale nella normalizzazione di comportamenti lesivi. La denuncia della famiglia Mendico mette in luce la necessità di rafforzare gli strumenti di ascolto e di intervento all’interno delle scuole. Il fenomeno del cyberbullismo si aggiunge a quello tradizionale, rendendo ancora più difficile per i ragazzi trovare protezione e sostegno.