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Papa Leone, nuova grana: la brutta notizia per lui

Il nodo del sistema giuridico vaticano

La sentenza firmata da Zuppi evidenzia una particolarità strutturale dello Stato della Città del Vaticano: l’assenza di una reale separazione dei poteri. In Vaticano, il Papa resta giudice supremo e può modificare l’ordinamento secondo la propria discrezionalità.

In questo contesto, la pensione decurtata per effetto di una condanna viene qualificata come “compensazione impropria”, un’espressione che di fatto legittima la sospensione totale dell’assegno. Una scelta che ha spinto i due ex manager a cercare tutela fuori dai confini vaticani.

Il ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

Non restando altre strade percorribili, Cipriani e Tulli hanno presentato ricorso alla CEDU, denunciando la violazione dell’articolo 1 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, relativo alla tutela della proprietà.

Secondo i ricorrenti, lo IOR avrebbe violato anche l’articolo 28 del regolamento interno del fondo pensionistico vaticano, che stabilisce in modo chiaro che le pensioni non possono essere cedute, pignorate o sequestrate, salvo ritenute entro il limite massimo di un terzo per debiti verso l’amministrazione.

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Il tempismo che imbarazza il nuovo Papa

Un dettaglio che rende il caso ancora più delicato riguarda la tempistica. La sentenza della Cassazione vaticana è stata emessa il 10 aprile 2025, appena undici giorni prima della morte di Papa Francesco. Ora la questione arriva sulle scrivanie europee durante i primi mesi del pontificato di Leone XIV. Un’eredità pesante, che rischia di mettere il nuovo Papa sotto i riflettori internazionali su un tema sensibile come il rispetto dei diritti fondamentali.

Il caso Cipriani-Tulli affonda le radici in una complessa inchiesta avviata anni fa, legata alla gestione di 23 milioni di euro sequestrati nel 2010. Una vicenda che ha sollevato forti polemiche fin dall’inizio.

In Italia, i due ex manager erano stati inizialmente condannati anche dal Tribunale di Roma, ma successivamente assolti in appello con formula piena: “perché il fatto non sussiste”. Una discrepanza di giudizi che continua ad alimentare interrogativi sulla gestione della giustizia vaticana.

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