Il sostegno del padre a Roberto Vannacci
“Ho conosciuto il generale Roberto Vannacci nel 1993 in Somalia dove ero inviato di guerra. (…) So bene chi è Vannacci e chi sono i ragazzi in divisa. (…) Le parole di mio figlio mi hanno ferito e disgustato”. Così si apre la lunga lettera firmata da Silvio Leoni e pubblicata da Il Tempo. Un testo che somiglia più a un editoriale che a un messaggio privato, in cui il padre giornalista ed ex paracadutista difende strenuamente il generale, accusando il figlio di “slealtà”, “accuse false” e persino di “miserabile tentativo” di attribuire a Vannacci la responsabilità morale di alcuni suicidi giovanili.
Il tono è quello di un’accusa senza appello. “Tu sei l’ultimo che si può rivolgere a Vannacci definendolo codardo. Vergognati!” scrive il padre, aggiungendo che Simone non sarebbe nemmeno “degno di spolverare gli anfibi” al generale. Un linguaggio ruvido, che richiama l’onore militare, l’orgoglio identitario, e una visione del mondo in profondo contrasto con quella espressa dal figlio.
— Simone Leoni (@Leoni_Simo) June 6, 2025
Il nodo della famiglia e dei valori
La vicenda, però, non è solo politica. È soprattutto un’esplosione intima resa pubblica. Simone Leoni, nella sua replica, non ha controattaccato. Ha invece scelto una risposta disarmante nella sua fermezza: “Pur avendo sofferto molto, ancora oggi non provo rancore per Silvio Leoni, con il quale non ho condiviso nulla dei miei 24 anni di vita. (…) Vado avanti a testa alta, con la forza delle mie idee. Sempre da uomo libero.”
Le sue parole rivelano un passato familiare segnato dalla distanza, ma anche un’identità politica e personale già forgiata. Nessun passo indietro, nessuna abiura, ma nemmeno livore. La scelta di citare i valori cristiani del rispetto e della dignità, contrapposta alla narrazione muscolare del padre, offre un’immagine alternativa di cosa possa essere oggi il centrodestra giovanile italiano: meno gerarchico, più inclusivo, forse.
Un paradosso amaro: chi difende la “famiglia tradizionale” si scopre distante dal proprio figlio; e chi viene accusato di essere un “traditore” rivendica invece la libertà di pensiero come eredità più autentica. Nella battaglia tra Leoni padre e Leoni figlio, si gioca un confronto che va oltre le parole: è lo specchio di un’Italia che cambia, non senza dolore.