Le parole della Cei: “Giustizia riparativa”
Nella messa celebrata per l’occasione da monsignor Francesco Savino, vice presidente della Conferenza Episcopale Italiana, si è respirata un’aria diversa. “Il Giubileo deve essere un tempo di giustizia riparativa – ha detto – è ora di restituire a tutti la dignità finora negata. Dio salva”. Un’affermazione che fotografa la distanza tra chi vede nel cammino aperto da Francesco un’occasione di riconciliazione e chi, al contrario, teme un cedimento dottrinale. Difatti Robert Prevost resta ancorato a una visione tradizionale della famiglia. Il suo pensiero richiama quello di Sant’Agostino e di Leone XIII, che nell’enciclica Arcanum ribadiva la centralità dell’unione stabile tra uomo e donna come fondamento della società. Secondo questa impostazione, non esistono “famiglie alternative”: le coppie omosessuali non possono essere equiparate alla famiglia, perché il matrimonio appartiene all’ordine naturale e divino. Da qui la condanna dell’utero in affitto e dell’ideologia gender, accusata di cancellare l’identità. “Accettarne i presupposti sarebbe diabolico”, ammoniscono i custodi della tradizione.

Tra misericordia e dottrina
Il risultato è un cammino a metà, sospeso tra misericordia pastorale e rigidità dottrinale. Da una parte l’immagine potente dei fedeli arcobaleno che varcano la Porta Santa; dall’altra l’assenza del Papa e la fermezza della tradizione. Il Giubileo aperto dalla comunità LGBTQ+ resterà una pietra miliare, ma il riconoscimento pieno appare ancora lontano.