Cosa emerge dalle chat della sera precedente con i compagni
La ricostruzione degli eventi parte dalle conversazioni su WhatsApp tra Paolo e il gruppo classe. Un compagno, figlio di un vigile urbano, ha mostrato al padre le chat in cui Paolino scriveva: «Vorrei stare nella prima fila, lasciatemi libero uno di quei banchi». Si tratta di una richiesta apparentemente innocua, che non lascia trasparire alcun segnale di disagio o tensione tra i ragazzi. I compagni rispondono con naturalezza: «Ok ok va bene». Nessuna discussione, nessuna parola fuori posto, solo il consueto scambio di messaggi alla vigilia di un nuovo anno scolastico.
Tuttavia, lo stesso giorno, nel contesto familiare, Paolino esprimeva alla madre un sentimento diverso: «Ricomincia la scuola, è finita la libertà, non ci voglio più andare». Una frase che assume oggi un peso drammatico, rivelando un malessere più profondo rispetto a quanto traspare dalle chat pubbliche. La doppia faccia della comunicazione digitale emerge con forza: da un lato la voglia di integrarsi, dall’altro la paura e la pressione che si vivono spesso in silenzio. Le indagini si concentrano proprio su queste discrepanze, alla ricerca di elementi che possano spiegare il dramma.
Leggi anche: Sigarette, la brutta notizia per i fumatori: cosa può succedere da Gennaio

Il contesto scolastico e le dinamiche di gruppo
Secondo i genitori, Paolo era un ragazzo di corporatura minuta e aveva subito episodi di bullismo da parte di alcuni compagni, in una classe composta da soli dodici studenti. Il giovane aveva anche tagliato i suoi lunghi capelli biondi per evitare prese in giro, un gesto che evidenzia il forte impatto della pressione sociale sulla sua autostima. I bulli, secondo alcune testimonianze, sarebbero stati responsabili di continue derisioni, alimentando il senso di isolamento di Paolino.
Nonostante le difficoltà, il ragazzo aveva mostrato determinazione: durante l’estate, aveva messo da parte la batteria, le uscite con la band Black Light Project e le sessioni di pesca con il padre per concentrarsi solo sullo studio. Il risultato era arrivato a luglio, con la promozione e un voto di sette in matematica. Un traguardo che avrebbe dovuto alleviare le sue paure, ma che non è bastato a superare il disagio vissuto a scuola. Il clima all’interno dell’istituto era caratterizzato da una certa chiusura: in passato si erano già verificati altri casi di bullismo, spesso sottovalutati o gestiti in modo poco incisivo. Secondo un conoscente della famiglia, «Ci sono stati anche altri casi che non hanno fatto scalpore, ma la storia era sempre la stessa: ragazzi bullizzati, bulli protetti dai dirigenti e conseguente fuga dei bullizzati, che hanno preferito cambiare scuola».
La situazione si è ulteriormente aggravata con il sospetto che una dirigente dell’istituto abbia suggerito agli studenti di non parlare con i carabinieri: «Ha detto che è pericoloso, e questo è molto grave», testimonia ancora la fonte. Questo atteggiamento ha ulteriormente alimentato il clima di omertà e sfiducia, rendendo più difficile la ricerca della verità.

Le indagini e l’ipotesi di istigazione
La Procura di Cassino sta indagando con l’ipotesi di istigazione o aiuto al suicidio. Sono stati sequestrati il cellulare di Paolo e altri dispositivi elettronici per analizzare eventuali messaggi o contenuti online che possano aver contribuito alla tragedia. Gli inquirenti vogliono accertare se una parola offensiva o una situazione insostenibile vissuta in una community digitale abbiano potuto influenzare in modo determinante le scelte del ragazzo.
Il procuratore Carlo Fucci ha sottolineato la gravità del contesto sociale: «Qualunque sarà l’esito sotto il profilo penale, tutto quello che stiamo acquisendo probabilmente ci dimostrerà ancora una volta che, quando il contesto sociale non è in grado culturalmente di comprendere e di accettare, di condividere gli altri, queste tragedie continueranno a verificarsi». Le parole del magistrato ribadiscono l’urgenza di interventi concreti per prevenire casi simili.
Parallelamente, sono stati ascoltati docenti, studenti e personale scolastico, per raccogliere testimonianze utili a ricostruire i rapporti interni alla classe e le dinamiche che hanno preceduto l’ultimo gesto di Paolo. L’analisi dei dispositivi elettronici potrebbe rivelare elementi oggi ancora sconosciuti sugli ultimi scambi avuti dal ragazzo nelle ore precedenti la tragedia.