La posizione dell’ente e il nodo legale
Dall’altra parte, l’organizzazione Gold Geese si è opposta alla richiesta. Rappresentata dall’avvocato William Moffett, l’ente ha ribadito in aula che le donazioni sono state effettuate con finalità specifiche, legate esclusivamente a bambini affetti da tumori oncologici come Kyle. «Il contratto firmato dalla coppia stabiliva chiaramente che, in caso di decesso del bambino, i fondi sarebbero stati destinati a cause simili o a studi sul DIPG», ha spiegato Moffett.
Secondo la difesa dell’organizzazione, non sarebbe stato possibile per i donatori del 2020 prevedere l’esistenza o le condizioni cliniche di Ruby-Rose, nata successivamente alla raccolta fondi. Per questo, la loro volontà — sostiene Gold Geese — non può essere reinterpretata oggi per scopi diversi da quelli per cui era stata inizialmente espressa.
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In attesa della sentenza, resta solo il tempo
La decisione del giudice Marc Glove arriverà nei prossimi giorni. Ma mentre il tribunale valuta le basi giuridiche del contratto, il tempo per Ruby-Rose scorre veloce. I genitori, pur consapevoli della complessità della questione, lanciano un ultimo appello al buon senso: «Stiamo solo cercando l’opportunità di vivere un momento felice insieme, prima che non sia più possibile».
Una vicenda che solleva domande etiche, legali e umane: fino a che punto un vincolo formale può prevalere sulla disperazione di due genitori? E quale valore dare alla volontà dei donatori quando il contesto cambia radicalmente? Interrogativi che vanno oltre la giustizia, toccando corde profonde e universali.
