
È passato più di un decennio da quel fatale incidente sugli sci a Méribel che ha cambiato per sempre la vita di Michael Schumacher, sette volte campione del mondo di Formula 1. Da allora, il grande campione è scomparso praticamente dai riflettori: poche notizie, massima riservatezza, una vita privata protetta dalla moglie Corinna e da una ristretta cerchia di fidati. Ma ora, a rompere il muro del riserbo è Richard Hopkins, ex dirigente Red Bull e McLaren, che confessa il suo disagio nel parlare delle condizioni dell’amico, ma lo fa comunque, facendo esplodere inquietudini, timori e supposti barlumi di speranza.
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Le parole di Hopkins: “Non credo che lo rivedremo in pubblico”
In un’intervista rilasciata a Sport Bible e rilanciata dai media, Hopkins ha raccontato l’intensità del legame che lo univa a Schumacher e il dolore per la sua assenza pubblica. “Non credo che rivedremo più Michael”, ha dichiarato. Ammette di sentirsi “un po’ a disagio” a parlare della salute dell’ex pilota: un tema così delicato da toccare, perché, spiega, “la famiglia ha sempre chiesto riservatezza”.
Hopkins conferma di sapere poco dei dettagli clinici, ma afferma una cosa con certezza: Schumacher è seguito da un medico finlandese, il suo medico personale, secondo quanto riportato dall’ex manager. 
Non parte della cerchia ristretta
Richard Hopkins è chiaro su un punto: non fa parte del novero di chi può accedere facilmente alla vita privata di Schumacher. “Non sono Jean Todt, né Ross Brawn o Gerhard Berger”, dichiara, nomi noti tra chi ha avuto un rapporto privilegiato con il pilota prima dell’incidente.
Questo significa che, pur avendo condiviso momenti di carriera con Michael, Hopkins è escluso da quella cerchia molto protetta che può fare visita regolare – privilegio riservato solo a pochissime persone fidate.

La vita protetta in Svizzera
Dopo l’incidente, Schumacher si è trasferito in una residenza in Svizzera dove prosegue le sue cure. Secondo il giornalista Felix Gorner, vicino alla famiglia, l’ex pilota è “totalmente dipendente dall’assistenza continua”: non comunica più verbalmente e ha bisogno di cure 24 ore su 24. Gorner aggiunge che soltanto circa 20 persone – tra familiari e operatori sanitari fidati – sarebbero autorizzate ad avvicinarsi a Michael.
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