
Il caso del professore Stefano Addeo ha rapidamente acceso un vivace dibattito pubblico, estendendosi ben oltre le mura scolastiche. Le dichiarazioni pubblicate sui social network, in cui augurava alla figlia della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, “la stessa fine di Martina Carbonaro“, hanno scatenato una tempesta mediatica. L’insegnante, travolto dall’indignazione generale e sospeso dal servizio, ha tentato di togliersi la vita ingerendo un mix di alcol e farmaci. Questo gesto estremo ha riacceso l’attenzione sul delicato confine tra libertà di espressione, odio online e responsabilità di chi occupa ruoli educativi.
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Intervista al professore: scuse e spiegazioni
Intervenuto in un’intervista al quotidiano Roma, il professore ha cercato di spiegare le sue motivazioni, offrendo parzialmente le sue scuse. “È stato un gesto stupido, scritto d’impulso“, ha ammesso. “Chiedo scusa per il contenuto del post: non si augura mai la morte, soprattutto a una bambina”. Nonostante ciò, non ha rinnegato le sue posizioni politiche, affermando: “Non mi sento rappresentato da questo governo. Mi rendo conto della gravità, ma in classe non ho mai fatto politica. I miei studenti mi vogliono bene. Odio ogni forma di violenza, amo gli animali, faccio volontariato. È stato un errore”.

Minacce, insulti e la denuncia alla Polizia Postale
L’insegnante ha descritto i momenti di grande tensione vissuti dopo la pubblicazione del post. Secondo quanto riferito, avrebbe ricevuto “minacce di morte, insulti e lanci di pomodori contro le vetrine di casa”. Per questo motivo, ha presentato una denuncia alla Polizia Postale. “Non ho cancellato il post per paura, ma perché mi sono reso conto da solo che era sbagliato“, ha sottolineato, spiegando che la sua decisione è stata frutto di autocritica piuttosto che di sottomissione all’odio online.
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