Psicologi nei reparti: una battaglia ancora aperta
Secondo Barbieri, serve un vero e proprio approccio multidisciplinare che comprenda non solo la cura medica, ma anche la consulenza nutrizionale e il supporto psicologico permanente. E ammette: «Purtroppo, oggi ci sono ancora pochi centri di ematologia e oncologia che prevedono uno psicologo fisso in reparto… AIL ha toccato con mano questa carenza e ha promosso corsi di formazione». AIL sostiene ad oggi oltre 60 psicologi nei reparti, ma questo sforzo rimane parziale. Gli ematologi stessi, spiega Barbieri, hanno compreso quanto sia preziosa la presenza dello psicologo, non solo al momento della diagnosi, ma durante le recidive, vero e proprio “terremoto” nella timeline della malattia.

Il caregiver: un eroe spesso invisibile
In questo scenario, emerge il ruolo fondamentale del caregiver, spesso un parente che accompagna, sostiene, media tra cure e famiglia. «Lo psicologo segue non solo il paziente ma anche il familiare. I caregiver hanno un ruolo pesantissimo perché si fanno carico di tante cose, e anche loro devono essere sostenuti», sottolinea Barbieri con lucidità. Senza sostegno strutturato, per i caregiver diventa quasi impossibile restare al passo con le richieste di cura e sostegno emotivo.
Maria Teresa Petrucci ribadisce che, in caso di recidiva, il momento può risultare addirittura più devastante della stessa diagnosi iniziale. «Il paziente sa che prima o poi dovrà cambiare terapia ed è il momento peggiore… Nel momento della recidiva la maggior parte dei pazienti dice: ‘Sapevo che sarebbe arrivata, ma non me l’aspettavo’», le sue parole. Oggi, tra monoclonali, terapie mirate e anticorpi, la sopravvivenza può arrivare anche a anni o decenni, ma solo se accompagnata da un buon livello di benessere quotidiano.