Cina: da mercato prioritario a scenario sempre più competitivo
La trasformazione del mercato cinese rappresenta un altro elemento decisivo per comprendere la scelta di Volkswagen. Per anni, la Cina è stata considerata un mercato chiave per i costruttori europei, in grado di compensare fasi di stagnazione in altri Paesi. Oggi, invece, lo stesso mercato si è trasformato in un contesto altamente competitivo, dove i produttori locali di auto elettriche e ibride plug-in hanno conquistato quote significative. Il gruppo BYD, in particolare, ha superato Volkswagen come principale venditore di automobili in Cina, ribaltando un equilibrio che sembrava consolidato. La capacità dei costruttori cinesi di proporre veicoli elettrici a prezzi più contenuti, con un forte controllo sulla filiera delle batterie e su componenti critici, ha evidenziato il divario competitivo tra l’industria europea e quella asiatica in questo segmento.
Per tentare di recuperare quote di mercato, credibilità commerciale e riconoscibilità del marchio nel Paese asiatico, Volkswagen ha avviato un piano che prevede la produzione in Cina di piccole auto elettriche dedicate al mercato locale. Questi modelli dovrebbero beneficiare di costi di produzione pari a circa la metà rispetto a quelli sostenuti negli stabilimenti tedeschi, grazie a manodopera meno costosa, catene di fornitura più corte e politiche industriali favorevoli allo sviluppo dell’e-mobility. Questa strategia rappresenta, di fatto, il riconoscimento della difficoltà di mantenere la stessa competitività di prezzo partendo dall’Europa, dove il costo del lavoro, dell’energia e degli standard normativi è sensibilmente più elevato. Al tempo stesso, la delocalizzazione di parte della produzione solleva interrogativi sulla tenuta dell’occupazione manifatturiera europea nel settore dell’auto e sulla capacità del continente di presidiare l’intera filiera dell’auto elettrica, dalle batterie alla componentistica elettronica.

Il giudizio degli analisti: capacità in eccesso e transizione sbilanciata
Diversi analisti del comparto automotive ritengono che le criticità di Volkswagen e, più in generale, dell’industria automobilistica europea siano destinate a proseguire nei prossimi anni, se non verranno adottate misure correttive strutturali. Tra i fattori indicati rientrano l’eccesso di capacità produttiva, l’incertezza regolatoria, la frammentazione dei mercati e l’andamento non lineare della domanda di veicoli elettrici e ibridi.
Stephen Reitman, analista di Bernstein, evidenzia come uno degli elementi inattesi rispetto alle previsioni di alcuni anni fa sia la maggiore durata operativa dei motori a combustione interna. Secondo le sue valutazioni, molte case automobilistiche si trovano ora costrette a programmare nuovi investimenti su tecnologie tradizionali, proprio dopo essere state spinte, dalle politiche pubbliche e dalle dinamiche di mercato, a ridurre l’impegno sui motori termici a favore dell’elettrico. Questa situazione genera un duplice impegno di spesa: da un lato la necessità di continuare a sviluppare e migliorare i motori a benzina e diesel, dall’altro l’obbligo di investire massicciamente su piattaforme elettriche, software, sistemi di ricarica e batterie. Il risultato è un carico finanziario significativo per i costruttori europei, che devono confrontarsi con concorrenti asiatici spesso più snelli e specializzati sulle nuove tecnologie.
Ancora più diretto è il commento di Andrea Taschini, advisor e manager nel settore automotive, che collega la chiusura di Dresda a scelte politiche e regolatorie adottate in Europa negli ultimi anni: “Il sistema automobilistico europeo è in una situazione di eccesso di capacità produttiva crescente, causata dall’invasione di auto cinesi low-cost e dal restringimento del mercato. Tutto ha avuto inizio in Germania, con derive ambientaliste che hanno prodotto un Green Deal irresponsabile, inconsapevole delle conseguenze. Ora quelle decisioni tornano indietro come un boomerang, colpendo proprio chi ha voluto una decarbonizzazione a ogni costo che non avvantaggia né l’ambiente né i lavoratori”. Le parole di Taschini si inseriscono in un dibattito più ampio sul disegno complessivo della transizione ecologica nel settore dei trasporti, in cui si confrontano posizioni diverse su tempi, strumenti e obiettivi. Il caso Volkswagen diventa così uno dei principali punti di riferimento per analizzare se e come le politiche europee dovranno essere adattate al nuovo scenario globale.

Pressioni politiche su Bruxelles e sul Green Deal automotive
Nel contesto delle istituzioni europee, l’annuncio di Volkswagen legato alla chiusura dello stabilimento di Dresda si somma alle altre criticità del settore e accresce le pressioni sulla Commissione guidata da Ursula von der Leyen. La presidente si trova ad affrontare una fase particolarmente delicata, in cui la necessità di perseguire gli obiettivi climatici deve essere conciliata con la tutela dell’occupazione e della competitività industriale.
La discussione è stata ulteriormente alimentata dalla recente presa di posizione del cancelliere tedesco Friedrich Merz, che ha sollecitato un riesame approfondito della strategia europea in materia di auto elettrica e di emissioni. A questo si aggiunge il confronto con Manfred Weber, leader del Ppe, che ha più volte richiamato l’attenzione sulle conseguenze sociali e produttive di un’applicazione troppo rigida del Green Deal nel comparto automotive. Dal fronte italiano, il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha ribadito la necessità di andare oltre semplici correzioni marginali della normativa. In dichiarazioni recenti, il ministro ha chiarito la posizione del governo rispetto alle proposte di revisione delle regole europee sull’auto: “Non accetteremo misure tampone. Serve una svolta chiara, fatta di riforme profonde, efficaci e strutturali”.
Urso ha inoltre ricordato come, su questa linea, si sia creata una piattaforma comune con la Germania, sostenuta da una maggioranza ampia di Stati membri. L’obiettivo condiviso è quello di rivedere il quadro regolatorio in modo da garantire, da un lato, il proseguimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni e, dall’altro, la salvaguardia dell’apparato produttivo europeo e della sua capacità di innovazione. Il tema dell’automotive è ormai diventato uno dei dossier centrali anche sul fronte politico. Nel corso di Atreju 2025, evento che ha riunito esponenti di diversi Paesi europei, si è consolidata l’intesa tra i gruppi Ecr e Ppe su una linea comune in materia di politica industriale europea, con particolare attenzione al settore dell’auto. Questa convergenza mira a influenzare le future decisioni legislative e regolatorie dell’Unione.