
Un piccolo abito estivo rosa, immacolato e accuratamente piegato, ha catalizzato l’attenzione degli investigatori nel caso della bambina trovata priva di vita a Villa Pamphili. L’abito è stato rinvenuto in un cestino dei rifiuti, a breve distanza dal luogo in cui è stato scoperto il corpo senza vita della piccola, situato a circa duecento metri da quello della madre. Le analisi del DNA hanno confermato ieri il legame madre-figlia tra le vittime.
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Ipotesi di un crimine frettoloso
La tutina di cotone che la bambina indossava potrebbe essere stata rimossa in modo sbrigativo dall’assassino, forse per eliminare eventuali tracce compromettenti. Gli inquirenti sono alla ricerca di impronte digitali, capelli o altri frammenti che potrebbero condurre all’identificazione del colpevole. Un investigatore ha dichiarato: «È il caso più difficile che mi sia capitato in trent’anni di carriera».
L’indagine, sotto la guida della squadra mobile con il coordinamento di Giuseppe Cascini e il pm Antonino Verdi, si presenta come un’impresa ardua. «È complicata — spiega un altro inquirente — perché ci troviamo davanti a due vittime che nessuno cerca, senza un nome. E in una situazione del genere tutto è possibile».
Indizi emergono dal silenzio
Il parco, lentamente, restituisce pezzi di una verità complessa. L’etichetta sull’abitino con l’indicazione “6-12 mesi” corrisponde all’età stimata dal medico legale dopo l’autopsia. La madre e la figlia potrebbero essere giunte da poco in Italia: la donna non risulta in alcuna banca dati ufficiale e non è mai stata fermata o identificata. Una donna sola, talmente isolata che nessuno ha segnalato la sua scomparsa. Forse in fuga da guerra, violenza o situazioni più gravi. Rimane l’incertezza su tutto, tranne che su una cosa: quella madre aveva scelto quel vestitino rosa per la sua bambina.
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