
Le mani suonavano anche quando il corpo chiedeva tregua. In certi corridoi silenziosi, dove la speranza è spesso leggera come il filo di un respiro, bastava un pianoforte per cambiare il clima di un reparto. Qualcuno, anche lì, riusciva a portare musica. Suoni semplici, ma densi. Non per mestiere, non per un palco. Ma per stare accanto, per trasformare l’attesa in un momento di bellezza. C’è chi la musica l’ha fatta vivere anche in ospedale, anche nella malattia, fino alla fine.
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Nel mondo frenetico dei festival e delle tournée, tra un aereo e un applauso, è raro che un artista riesca a coltivare il tempo lungo dell’insegnamento, della condivisione silenziosa. Chi lo fa, chi mette il proprio talento al servizio degli altri, spesso non finisce sotto i riflettori. Eppure sono proprio queste figure a rimanere nel cuore di colleghi e allievi. Uomini che sanno suonare, e sanno ascoltare. Uomini che lasciano un segno nei luoghi in cui scelgono di restare.
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