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“In nessun comune”: Referendum, la notizia arrivata prima della chiusura dei seggi

Le urne si sono appena chiuse. È il 9 giugno 2025 e si concludono così le due giornate di voto sui referendum dedicati al lavoro e alla cittadinanza, appuntamento atteso e discusso, promosso con forza da ampi settori della sinistra italiana e dei sindacati. Ma poco dopo la chiusura dei seggi, è bastato un dato per definire l’esito: il quorum è rimasto un miraggio. Nessun comune italiano ha raggiunto la soglia necessaria per rendere valido il referendum. Eppure, dietro ai numeri si nasconde una geografia del voto che spacca l’Italia in due, un segnale profondo del rapporto sempre più complicato tra cittadini e partecipazione democratica.

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Referendum del 8-9 giugno: il problema del quorum

Ormai i dubbi sono stati fugati: il quorum non è stato raggiunto. Il grande ostacolo del 50% + 1 degli aventi diritto al voto si è confermato ancora una volta insormontabile, segnando quello che per i promotori è un verdetto amaro. Un’eventualità che molti, anche nei giorni precedenti, avevano previsto. Nell’attuale contesto politico italiano, dove persino le elezioni politiche registrano i livelli di affluenza più bassi della storia repubblicana, immaginare un coinvolgimento massiccio per un referendum appariva un azzardo. A tutto ciò si aggiunge una crescente consapevolezza: lo strumento referendario, per come è oggi, rischia di essere anacronistico. Troppo rigido, poco adatto a intercettare una società frammentata, sfiduciata e spesso distratta. Se davvero si vuole che resti un mezzo efficace di partecipazione democratica, dovrà probabilmente riformarsi, cambiare pelle.

La delusione dei promotori: un punto di ripartenza

Per il momento, però, resta la delusione. Nei comitati promotori, tra attivisti e sostenitori, domina il desiderio di rialzarsi, riflettere su quanto fatto e forse ripensare la strategia futura. Quel che è certo è che questo referendum ha messo in luce con chiarezza una distanza profonda tra istituzioni e cittadini, e la necessità urgente di colmarla. Ora la parola passa agli analisti, agli studiosi e ai movimenti: perché è da questa battuta d’arresto che si potrà, forse, ripartire.

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