
A pochi mesi dall’ultimo sviluppo giudiziario, la difesa di Massimo Bossetti rilancia la propria strategia con toni forti: il Dna ritrovato sui vestiti di Yara Gambirasio “non è di Bossetti” e, sostiene l’avvocato, la tredicenne “non sarebbe mai uscita viva dalla palestra”. Nuove motivazioni sono state presentate in Aula, aprendo un altro fronte nella vicenda.
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La difesa contesta il Dna nucleare
Durante l’udienza del 24 giugno 2025, i legali di Bossetti hanno sottolineato incongruenze tecniche nel tracciato genetico che ha portato alla condanna. Tra le contestazioni, l’uso di kit scaduti e l’assenza di corrispondenza con il Dna mitocondriale, circostanza che — a loro avviso — rende “inaffidabile” la prova a loro carico .
“Yara non uscì viva dalla palestra”
Quanto alla dinamica, la difesa ha dichiarato: “Nessuno ricorda di averla vista uscire da quel centro sportivo”. Sulla base di analisi atti e cartelle giudiziarie, la tesi è che la morte di Yara sia avvenuta all’interno del complesso, non lungo la strada come sostenuto fino ad oggi.
Nuovo accesso ai materiali dell’inchiesta
A fine giugno 2025, il Tribunale di Bergamo ha autorizzato la difesa a visionare le foto ad alta risoluzione dei reperti e i tracciati elettroferografici del Ris di Parma, insieme al profilo genetico di Yara e all’analisi di migliaia di campioni, aprendo un potenziale canale investigativo per revisionare la condanna .
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