
È stato un verdetto che ha scosso non solo le aule del tribunale di Tempio Pausania, ma anche l’opinione pubblica. Dopo oltre tre anni di processo, il caso della violenza sessuale avvenuta a Porto Cervo nel 2019 e che ha visto coinvolto Ciro Grillo, figlio di Beppe Grillo, si è chiuso con una condanna che segna uno spartiacque. Un processo lungo e carico di tensioni, che ha acceso il dibattito nazionale sul tema della violenza di genere e sulla credibilità delle vittime. La prima a raccontare il clima di quel momento è stata l’avvocata Giulia Bongiorno, difensore della giovane italo-norvegese, che ha condiviso con i giornalisti lo sfogo e le lacrime della sua assistita.
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Sentenza Grillo: le condanne del tribunale di Tempio Pausania
Il collegio giudicante, presieduto dal giudice Marco Contu, ha condannato a otto anni di reclusione Ciro Grillo, Edoardo Capitta e Vittorio Lauria, mentre Francesco Corsiglia ha ricevuto una pena di sei anni e mezzo. Come riportato da La Repubblica, i giudici hanno inoltre stabilito una provvisionale di 10mila euro per tre imputati e di 5mila per Corsiglia, assolto dall’accusa di diffusione di immagini a sfondo sessuale ma riconosciuto colpevole di stupro di gruppo.
Il pubblico ministero Gregorio Capasso aveva chiesto condanne a nove anni, sostenendo la solidità delle prove raccolte, mentre le difese avevano ribadito fino all’ultima udienza l’innocenza degli imputati e l’«inattendibilità» della vittima.
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Processo Grillo: tre anni di scontro tra accusa e difesa
Il procedimento, durato oltre tre anni e mezzo, è stato segnato da un acceso conflitto tra accusa e difesa. Nonostante i video e gli esami tossicologici sul cosiddetto beverone a base di vodka, l’esito non era affatto scontato. A ricordarlo è stata l’avvocata Giulia Bongiorno, che ha raccontato l’attesa carica di tensione prima della lettura della sentenza: «Nonostante le prove fossero poderose – dai video agli esami tossicologici sul ‘beverone’ di vodka – non ci si abitua mai ad attendere una sentenza. C’era tanta emozione: in questo percorso è stata crocifissa, massacrata sui media e in aula».
Secondo l’avvocata, la sua assistita «non trova la fine della sua sofferenza, ma il significato della sua sofferenza. Ha denunciato, ha creduto nella giustizia. È una sentenza importante: quando ci sono violenze, non vince l’ostruzionismo ma chi ha il coraggio di denunciare».
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