
Garlasco: “Il dna di Sempio sotto le unghie di Chiara”. Chi lo dice – Una nuova ombra si allunga sul caso che da diciassette anni divide opinione pubblica e magistratura. Una traccia di Dna sotto le unghie della vittima, materiale biologico che, se confermato, potrebbe ribaltare l’intera ricostruzione giudiziaria. Ma come spesso accade nelle indagini genetiche, la verità non è mai soltanto nei numeri, e l’interpretazione dei dati può fare la differenza tra una prova e un indizio. Il Dna in questione, secondo i legali della difesa di Alberto Stasi, ma anche secondo la stessa Procura di Pavia, apparterrebbe ad Andrea Sempio, oggi unico indagato nel nuovo filone d’inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi. Un elemento potenzialmente decisivo, che tuttavia potrebbe non bastare per riaprire il caso.

Garlasco: “Il dna di Sempio sotto le unghie di Chiara”. Chi lo dice
A spiegare perché è il giudice Giuseppe Gennari, esperto di prova scientifica e autore di un’analisi pubblicata su Sistema penale.it. Il magistrato ricorda che nel processo penale il genetista produce un dato, ma è il giudice a definirne il valore probatorio, combinandolo con il resto delle evidenze raccolte. Con gli strumenti odierni, spiega Gennari, è possibile amplificare anche le più minime tracce biologiche, spesso “sporche” o di natura incerta (residui di sangue, sudore o sperma) ma proprio questa sensibilità estrema aumenta i margini di ambiguità. «Il miglioramento incredibile delle capacità di analisi del materiale genetico ha portato a un incremento dell’incertezza del risultato, o quantomeno a una maggiore complessità nella valutazione della sua attendibilità».


Quando la statistica incontra il dubbio
In altre parole, il progresso tecnologico non ha reso la prova genetica più “certa”: l’ha resa più potente, ma anche più fragile. Gli esperti oggi devono mediare i dati attraverso modelli statistici e software complessi, basati sulle “frequenze alleliche” della popolazione di riferimento. Ogni Dna isolato diventa così una questione di probabilità, non di assolutezza. L’esperto forense, spiega Gennari, «non fornisce una verità oggettiva, ma una probabilità fondata su un giudizio soggettivo». Non un arbitrio, precisa, ma una “argomentazione razionale” che resta tuttavia aperta a interpretazioni diverse.
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