
Nelle aule universitarie, tra appunti consumati e voci in lingue diverse, il nome di professoressa è rimasto impresso come quello di una pioniera silenziosa. La sua visione non era solo un progetto accademico, ma un invito alla scoperta, un modo per trasformare lo studio in un viaggio di libertà. Migliaia di studenti, da decenni, attraversano l’Europa portando con sé un’idea nata molto prima che diventasse un programma riconosciuto. Chi ha vissuto quell’esperienza ricorda l’emozione di un biglietto di sola andata verso l’ignoto, un Erasmus che significava indipendenza, crescita, apertura. Tutto questo è stato possibile grazie a una donna che credeva che la conoscenza non dovesse avere confini. La sua figura resta legata a un sogno che, una volta condiviso, è diventato realtà per milioni di giovani.
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Una vita per l’educazione e per i diritti umani
Ogni progetto rivoluzionario nasce da un’intuizione semplice. Per la professoressa, quell’intuizione era la convinzione che studiare all’estero dovesse avere lo stesso valore di studiare nel proprio Paese. Da lì, la costruzione lenta e tenace di un sistema capace di connettere università, docenti e studenti oltre le frontiere.
Il percorso che l’ha portata fino a questa idea ha radici profonde. Laureata in Giurisprudenza con lode all’Università La Sapienza, ottenne prestigiose borse di studio Fulbright e studiò presso la Columbia University di New York, dove conseguì il Master in Comparative Law. Negli anni successivi, collaborò con la Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, con l’Accademia di Diritto Internazionale dell’Aja e con la London School of Economics. In ognuno di questi luoghi coltivò la sua missione: rendere il diritto allo studio un diritto realmente universale.
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