
Negli ambienti di Palazzo Chigi si è diffuso un sentimento di malcontento. La premier Giorgia Meloni ha rapidamente espresso la propria disapprovazione nei confronti della decisione, ritenendola “non condivisibile” e “inopportuna”, soprattutto in un contesto in cui l’opinione pubblica è particolarmente attenta all’uso delle risorse pubbliche.
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Irritazione del governo sull’aumento dello stipendio al Cnel
La pubblicazione della delibera relativa all’aumento dello stipendio del presidente del Cnel, Renato Brunetta, e soprattutto la scelta di dare immediata attuazione a questa disposizione, ha generato numerose controversie politiche e mediatiche. L’incremento dello stipendio è stato reso possibile attraverso l’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale, che ha eliminato il tetto massimo di 240 mila euro annui per le retribuzioni dei dirigenti pubblici.
La vicenda ha avuto ampia eco anche sui media, che hanno sottolineato come il provvedimento avrebbe portato lo stipendio del presidente Cnel a cifre significativamente superiori a quelle consentite in passato, con una previsione di spesa che, secondo alcune fonti, avrebbe potuto superare il milione di euro annuo nel prossimo biennio.

Le motivazioni giuridiche e le cifre in gioco
L’origine della questione è la sentenza n. 135 del 9 luglio 2025 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittimo il precedente limite retributivo per i dipendenti pubblici. In base alla nuova normativa, il riferimento per la retribuzione massima diventa quella del primo presidente della Corte di Cassazione, fissata a 311.658,53 euro.
Secondo la delibera pubblicata sul sito del Cnel, l’adeguamento avrebbe comportato un innalzamento progressivo delle cifre, con stime che partivano da 850 mila euro nel 2025 fino a circa 1 milione e 880 mila euro, considerando gli adeguamenti calcolati sugli aumenti medi dei lavoratori pubblici secondo i dati Istat.
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