
Il caso dell’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco si arricchisce di un nuovo, potenzialmente decisivo, elemento investigativo. Una testimonianza anonima, resa pubblica durante una recente puntata di MattinoCinque, ha riacceso l’attenzione mediatica e giudiziaria su una vicenda che, a distanza di anni, continua a sollevare interrogativi e tensioni. Al centro della nuova rivelazione vi è Massimo Lovati, ex avvocato di uno degli indagati principali, Andrea Sempio, coinvolto nell’inchiesta con l’accusa di omicidio in concorso. Secondo quanto raccontato dal testimone, Lovati avrebbe avuto una telefonata dai toni estremamente accesi con lo stesso Sempio, durante la quale avrebbe pronunciato parole di gravissima accusa.
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La telefonata e la testimonianza anonima
La descrizione fornita dal testimone, che dichiara di avere un rapporto molto stretto e di lunga data con Lovati, fa riferimento a una conversazione avvenuta prima dell’estate e in un momento chiave delle indagini. Se confermata, questa ricostruzione potrebbe modificare gli equilibri processuali e aprire nuovi scenari investigativi. Il racconto si inserisce in un contesto già segnato da numerosi colpi di scena e da una costante attenzione dell’opinione pubblica e degli organi di stampa.
Particolarmente rilevante è il dettaglio temporale fornito: il presunto sfogo sarebbe avvenuto pochi giorni prima della diffusione della notizia riguardante il ritrovamento del DNA sotto le unghie di Chiara Poggi, elemento che ha rappresentato una svolta nelle indagini. La coincidenza temporale rafforza, secondo la fonte, l’ipotesi che la reazione di Lovati fosse legata a questa scoperta e all’impatto che avrebbe potuto avere sulla posizione processuale di Sempio.
“Assassino di m***a!”: le parole urlate e la durata della chiamata
Secondo quanto riferito, la telefonata sarebbe durata circa un quarto d’ora. Il testimone ricorda con precisione le parole usate dall’avvocato: “assassino di m***a!“, urlate con una rabbia che, a suo dire, non aveva mai visto in dodici anni di conoscenza. Una reazione che lascia intendere la profondità delle tensioni interne al rapporto professionale tra difensore e assistito.
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