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Accuse gravissime al premier, cosa succede

C’è un clima teso, quasi irreale, nei palazzi della politica spagnola. Come se tutti trattenessero il fiato in attesa della prossima deflagrazione. Il governo sembrava tenere, nonostante le crepe sempre più evidenti. Ma adesso tutto è cambiato. Le ultime 48 ore hanno segnato un punto di rottura, e nessuno osa più parlare di stabilità. I telefoni squillano, le alleanze vacillano, e sul volto di molti parlamentari si legge lo stesso pensiero: è l’inizio della fine?

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La bomba giudiziaria che scuote il governo Sánchez

A far esplodere la crisi è stato un nome pesante: Santos Cerdán, ex segretario organizzativo del Partito socialista spagnolo (Psoe) e fedelissimo di Pedro Sánchez. Il suo arresto, accompagnato da un’ordinanza durissima firmata dal giudice Leopoldo Puente della Corte Suprema, ha fatto tremare la Moncloa. Secondo le indagini, Cerdán avrebbe gestito un sistema di tangenti legato a un appalto da 500 milioni di euro con la società Acciona Construcción, pilotato attraverso agenzie governative. Ma non è tutto: dalle intercettazioni emergono percentuali precise — il 10% dell’appalto spartito tra Cerdán, Koldo García e José Luis Ábalos, ex ministro dei Trasporti.

Il giudice ha definito la sua figura come “centrale” in un sistema criminale ben strutturato, respingendo ogni richiesta di libertà su cauzione e stimando un bottino illecito superiore ai 5 milioni di euro. Le accuse? Corruzione, traffico di influenze, coercizione di testimoni e inquinamento delle prove. La rete appare vasta e ramificata, e gli sviluppi promettono altre scosse.

Le dimissioni tardive e una difesa senza forza

Cerdán aveva già rassegnato le dimissioni il 12 giugno, ma il suo silenzio non è bastato a spegnere il fuoco. Di fronte alla Corte Suprema non ha negato le registrazioni, limitandosi a dire di “non ricordare” o considerarle “fuori contesto”. Una difesa che gli inquirenti hanno giudicato debole e inconcludente, segno che la posizione dell’ex braccio destro di Sánchez è ormai compromessa.

Questa fragilità non è passata inosservata all’interno del Psoe, dove già si avvertono i primi segnali di panico. Ma è all’esterno della coalizione che si percepisce il vero terremoto.

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