
Sicurezza prima di tutto — ma sotto i riflettori
Il ritorno anticipato — pur dettato dalla priorità assoluta alla sicurezza dei partecipanti e alla protezione delle imbarcazioni più piccole — ha acceso i riflettori sulle difficoltà logistiche e sui rischi reali che una missione via mare comporta in questo contesto politico e geografico. La Flotilla voleva forzare il blocco navale israeliano per consegnare aiuti alla popolazione di Gaza — una zona devastata dal conflitto, dalla fame e dai bombardamenti ininterrotti.
Nonostante il rinvio forzato, la determinazione degli organizzatori resta intatta: la missione – descritta come la più imponente finora — non perderà di vista il suo obiettivo.
Humanity called, and they answered.
— Global Sumud Flotilla (@GlobalSumudF) September 1, 2025
The Global Sumud Flotilla, the biggest maritime mission in history, sets sail.
Bookmark this historic day – the one where civilians from 44 countries courageously answered the call of humanity, when their nations failed to do so.
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Ben-Gvir e la parola “terrorismo”
A sollevare ulteriori tensioni è la reazione del ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, Itamar Ben-Gvir, figura di spicco dell’estrema destra. Il politico ha presentato un piano per etichettare gli attivisti della Flotilla come “terroristi”, proponendo di detenerli in carceri come Ketziot e Damon, riservate solitamente a sospetti di terrorismo, e di privarli di privilegi come televisione, radio o pasti speciali.
Secondo fonti vicine al ministro, i partecipanti potrebbero poi essere impiegati forzosamente, con le imbarcazioni sequestrate e convertite in assetti operativi della polizia marittima israeliana. Parole dure, con tanto di retorica intimidatoria: “Dopo alcune settimane a Ketziot e Damon, si pentiranno del momento in cui sono arrivati qui. Dobbiamo eliminare il loro appetito per un nuovo tentativo.”