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Famiglia nel bosco, il dolore di mamma Catherine: la notizia è straziante

La famiglia del bosco di Palmoli, protagonista della vicenda

Famiglia del bosco, i compromessi accettati e un ricongiungimento ancora lontano

Nonostante le aperture mostrate nei confronti delle autorità, il ricongiungimento familiare non è stato ancora autorizzato. Secondo quanto emerge dalle ricostruzioni giornalistiche e dalle informazioni di fonte giudiziaria, potrebbero essere necessari ancora diversi mesi prima che si possa valutare un ritorno dei minori in un contesto domestico insieme ai genitori.

Catherine descrive questa attesa come un peso costante, un «macigno» che grava sulla famiglia. Sostiene che il prolungarsi della separazione stia incidendo in modo marcato soprattutto sullo stato emotivo dei bambini, già provati dal passaggio repentino dalla casa nel bosco alla vita in comunità.

La coppia, per anni legata a un modello di vita alternativo, riferisce di sentirsi disorientata nella nuova dimensione: le decisioni non sono più nelle loro mani, ma dipendono da provvedimenti, valutazioni tecniche, pareri di esperti. Ogni scelta quotidiana, anche relativa ai tempi di visita, è scandita da norme precise.

In questo quadro si inserisce il racconto della madre, che ha scelto di ricostruire nel dettaglio la propria giornata e la relazione, oggi fortemente limitata, con i figli all’interno della struttura che li ospita.

La decisione dei giudici e il ruolo dei servizi sociali

Al centro del caso ci sono i provvedimenti del tribunale minorile e le successive relazioni dei servizi sociali, che hanno portato all’allontanamento dei minori dal contesto di origine. I bambini sono stati affidati a una comunità educativa, dove la gestione del tempo, delle attività e delle relazioni avviene secondo regolamenti interni e protocolli stabiliti.

Il passaggio dalla libertà del bosco alla vita in struttura protetta ha segnato un cambiamento drastico: orari da rispettare, regole comuni con gli altri minori, controlli costanti sul percorso educativo e sanitario. Elementi che, secondo le autorità, sono necessari per garantire standard di tutela adeguati, ma che la famiglia avverte come un forte ridimensionamento della propria autonomia.

In una delle formule usate per riassumere il quadro giudiziario, sintetizzata anche da diverse testate, si richiama la motivazione secondo cui «i figli non torneranno a casa» nell’immediato, alla luce delle criticità emerse nelle valutazioni tecniche. Il percorso, dunque, è ancora aperto e richiede ulteriori approfondimenti.

All’interno di questo scenario, Catherine prova a far emergere la propria versione dei fatti, sostenendo di essere stata interpretata attraverso una chiave di lettura che non corrisponde alla sua reale condotta. È in questo contesto che si colloca la sua affermazione sul sentirsi «fraintesa».

Famiglia del bosco, la madre: “Sono stata fraintesa”

Secondo quanto riportato da Il Centro, nei provvedimenti giudiziari Catherine viene descritta come una persona «diffidente» e incline a formulare richieste che mal si conciliano con la vita in comunità. In particolare, le viene attribuita la pretesa che «vengano mantenute dai figli abitudini e orari difformi dalle regole che disciplinano la vita degli altri minori ospiti della comunità».

La madre respinge con fermezza questa rappresentazione. Afferma di non riconoscersi nel profilo che emerge dalle relazioni ufficiali e riferisce di impegnarsi, ogni giorno, per rispettare le regole della struttura, pur cercando di conservare alcuni elementi della propria identità familiare.

Catherine sottolinea che il suo modo di porsi con il personale e con i minori è diverso da come appare negli atti, e ribadisce di voler collaborare con le istituzioni, mantenendo però un legame quanto più possibile coerente con la storia e con il percorso vissuto insieme ai figli nel bosco.

Interni della struttura protetta dove sono ospitati i figli della famiglia del bosco

Le giornate nella struttura e il legame simbolico con la vita nel bosco

Nel descrivere la sua quotidianità, Catherine riferisce che le giornate si svolgono in modo semplice e silenzioso. Ha la possibilità di vedere i figli solo in momenti precisi: colazione, pranzo e cena. In questi intervalli cerca di concentrare tutta la vicinanza possibile, consapevole del tempo limitato a disposizione.

Racconta che al mattino si alza molto presto, scende al piano inferiore dove dormono i bambini e controlla che «stiano zitti per non svegliare gli altri». Se i piccoli stanno ancora dormendo, si sposta in cucina e prepara per loro il porridge, lo stesso cibo che cucinava nella casa nel bosco, quando la famiglia viveva in autonomia.

Quel porridge, per la madre, rappresenta un gesto carico di significato: una sorta di rituale che permette di tenere unito un prima e un dopo molto diversi tra loro. In un contesto dove orari e attività sono scanditi dalla comunità, quell’azione ripetuta diventa un modo per preservare una forma di normalità familiare che lei percepisce come compromessa.

Il legame con la vita nel bosco riaffiora così attraverso piccole consuetudini: il modo di preparare il cibo, il tono della voce con cui chiama i figli, le attenzioni riservate loro nei pochi minuti di condivisione concessi. È in questi dettagli che, secondo il racconto di Catherine, si concentra oggi gran parte del rapporto madre-figli.

“Non dormono bene”: i segnali di disagio dei figli nella comunità

Accanto alla descrizione della routine quotidiana, Catherine riferisce elementi che, a suo avviso, indicano uno stato di sofferenza dei bambini. Sostiene che il ritmo della vita in comunità non sia stato ancora interiorizzato dai minori e che il cambiamento abbia inciso profondamente sul loro equilibrio emotivo.

La madre racconta che i figli «non dormono bene e si svegliano da soli». Aggiunge che l’ansia è diventata una presenza continua e intensa, una tensione che lei percepisce nei loro sguardi e nei loro comportamenti, soprattutto nelle ore serali e notturne.

Secondo il racconto di Catherine, le notti sono spesso caratterizzate da agitazione, risvegli frequenti e difficoltà a ritrovare la calma. Una serenità che, nella sua percezione, si sarebbe incrinata da quando i bambini sono stati inseriti nella struttura, lontani dall’ambiente naturale e dalle abitudini consolidate nel bosco.

La comunità educativa è pensata per garantire protezione e strumenti di crescita, ma per i minori della famiglia del bosco il passaggio è stato particolarmente brusco: dalla libertà degli spazi aperti a camere condivise, corridoi, porte da chiudere a chiave, orari da rispettare. Un contesto che richiede tempi di adattamento, durante i quali possono emergere forme di disagio.

Veduta del bosco di Palmoli dove la famiglia viveva prima dell’intervento delle autorità

La confessione sulla figlia maggiore: “Si morde le mani giorno e notte”

Il momento più delicato del racconto di Catherine riguarda la figlia maggiore. La madre riferisce di averla trovata con lesioni su entrambe le mani. Spiega che le ferite sarebbero il risultato di un comportamento ripetuto nel tempo: «le morde di continuo, giorno e notte».

Per Catherine, questo gesto rappresenta un segnale allarmante, una manifestazione concreta di un malessere interiore che la figlia fatica a esprimere a parole. Nella sua lettura, si tratterebbe di un comportamento legato alla forte tensione, alla paura e allo spaesamento generati dal distacco dalla loro routine nel bosco.

La madre parla di una sofferenza che non riguarda solo la figlia maggiore, ma che coinvolge l’intero nucleo di minori. Tuttavia, nel caso della primogenita, il disagio appare più evidente e visibile, proprio perché si traduce in azioni che lasciano segni fisici sul corpo.

Catherine afferma di temere che, con il prolungarsi della permanenza in comunità e della distanza dalla precedente vita familiare, queste forme di sofferenza possano intensificarsi. Ribadisce che, a suo avviso, i bambini stanno sostenendo il carico emotivo più pesante dell’intera vicenda.

Immagine simbolica dei bambini della famiglia del bosco coinvolti nella vicenda giudiziaria

Un Natale senza serenità e il tempo limitato con il padre

Neppure le festività natalizie sono riuscite a portare un momento di reale serenità. Il giorno di Natale, tradizionalmente associato alla riunione familiare, è stato vissuto dalla famiglia del bosco in un clima di forte tensione emotiva e di consapevolezza dei limiti imposti.

Catherine racconta che il marito, Nathan Trevallion, ha potuto trascorrere la mattinata con lei e con i figli nella struttura, ma solo fino alle 12.30. All’orario stabilito ha dovuto allontanarsi, lasciando la moglie e i bambini all’interno della comunità. Un saluto anticipato che ha reso ancora più evidente, secondo il loro racconto, la distanza dalla normalità vissuta in passato.

La giornata, che per molte famiglie rappresenta un’occasione di condivisione prolungata, è stata vissuta invece con una scansione precisa e vincolante, riflesso delle regole che disciplinano l’accesso e la permanenza dei genitori all’interno delle strutture protette.

Per Catherine e Nathan, quel Natale è diventato il simbolo di uno stato di sospensione: la consapevolezza che, almeno nel breve periodo, non sono previste svolte immediate e che la fine dell’anno non coincide con un ritorno alla precedente vita per l’intero nucleo.

L’ultima speranza nel consulto clinico e le valutazioni attese

In questo contesto, la coppia ha deciso di rivolgersi allo psichiatra Tonino Cantelmi, confidando che una valutazione clinica accurata possa contribuire a ridefinire il quadro giudiziario e ad aprire un percorso verso il ricongiungimento. Si tratta, nelle loro parole, di una sorta di «ultima carta» da giocare sul piano delle perizie e delle consulenze tecniche.

L’obiettivo è fornire agli inquirenti e ai giudici una lettura aggiornata delle condizioni psicologiche e relazionali della famiglia, mettendo in luce elementi che potrebbero incidere sulle future decisioni in merito all’affidamento dei minori e alle modalità di contatto con i genitori.

Come riportato anche dal Corriere della Sera, l’intera vicenda rimane al momento sospesa in attesa di nuove determinazioni. Le prossime tappe dipenderanno dagli esiti delle valutazioni cliniche, dalle relazioni dei servizi sociali e dalle ulteriori verifiche che il tribunale riterrà necessarie.

Nell’attesa, Catherine e Nathan continuano a vivere in una condizione che descrivono come frammentata: da un lato l’impegno ad adeguarsi alle richieste istituzionali; dall’altro la percezione di una vita imposta, distante dalla realtà che avevano costruito nel bosco. Al centro, i figli, che restano il fulcro delle decisioni e delle preoccupazioni di tutti i soggetti coinvolti nella gestione di questo caso complesso.

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