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“Devo dire di Alberto Stasi”. Garlasco, la denuncia shock di Raffaele Sollecito

Sono passati diciotto anni da uno dei casi giudiziari più controversi della cronaca italiana: l’omicidio di Meredith Kercher, avvenuto a Perugia nel 2007. Dopo anni di silenzio mediatico, Raffaele Sollecito torna a parlare, e lo fa con toni duri, denunciando una realtà che – a suo dire – nessuna assoluzione può cancellare.
«Voglio denunciare una forma di condanna che nessuna sentenza può cancellare: lo stigma sociale verso chi è stato ingiustamente in carcere», ha dichiarato all’Ansa. Una riflessione che arriva mentre nuove rivelazioni riaccendono i riflettori su un altro caso simbolo della giustizia italiana: quello di Garlasco.

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Raffaele Sollecito in primo piano

“Una discriminazione silente ma devastante”

L’ex imputato, assolto definitivamente nel 2015 dopo otto anni di processo e quattro trascorsi in carcere, racconta una sofferenza che non si è mai realmente spenta.
«Sono stato assolto, ma per molti resto un colpevole. È una discriminazione silente ma devastante», ha spiegato.
Secondo Sollecito, l’ombra del sospetto continua a seguirlo ovunque, anche oggi che ha ricostruito la sua vita: «Si manifesta negli sguardi, nei commenti, persino negli atteggiamenti istituzionali, come la negazione di qualsiasi risarcimento».
Le sue parole riflettono il prezzo invisibile che molte persone assolte devono pagare dopo processi mediatici che, come nel suo caso, hanno monopolizzato per anni l’attenzione dei media.

“Penso ad Alberto Stasi: anche lui vittima di un marchio indelebile”

Durante l’intervista, Raffaele Sollecito ha voluto accostare la sua esperienza a quella di Alberto Stasi, condannato per l’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco nel 2007.
«Penso ad Alberto Stasi, ingiustamente in carcere per un delitto di cui è innocente. Anche lui è vittima di un marchio indelebile che nessuna sentenza potrà cancellare», ha affermato.
Un paragone forte, che riapre una ferita ancora aperta nel dibattito pubblico. Entrambi i casi – Perugia e Garlasco – hanno diviso l’opinione pubblica, spinto trasmissioni e talk show a ricostruzioni spesso fantasiose e, secondo Sollecito, hanno lasciato cicatrici impossibili da rimarginare.
«Le sentenze ondivaghe e i titoli dei giornali hanno creato un marchio che resta. È una condanna che non si cancella con la verità giudiziaria», ha aggiunto.

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