
Le recenti incursioni di droni russi hanno evidenziato le criticità della difesa aerea della Nato e hanno messo in luce le difficoltà di risposta dell’alleanza atlantica di fronte a minacce asimmetriche e tecnologicamente evolute. Secondo i dati più affidabili, durante l’ultimo attacco sono stati impiegati circa venti droni: soltanto quattro sono stati effettivamente abbattuti, mentre la maggior parte è precipitata per cause tecniche, come la mancanza di carburante. Un drone ha attraversato lo spazio aereo polacco per quasi 300 chilometri, ponendo interrogativi sulla reale efficacia delle strategie di sorveglianza e intercettazione. L’episodio ha alimentato nuove preoccupazioni sulla capacità delle forze occidentali di fronteggiare una tipologia di conflitto in cui la tecnologia e i costi contenuti dei mezzi impiegati giocano un ruolo determinante. L’utilizzo di sistemi a basso costo, come i droni kamikaze russi, ha messo in seria difficoltà le strutture difensive dei Paesi membri dell’Alleanza, costringendo a riflessioni profonde su strategie e investimenti futuri.
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Quanto costa realizzare un drone russo
Il problema principale risiede nel rapporto tra il prezzo dei mezzi offensivi e quello dei sistemi di difesa: mentre un missile aria-aria può raggiungere il costo di un milione di euro, i droni utilizzati nelle incursioni vengono prodotti con una spesa inferiore ai 15mila euro. Questa sproporzione rappresenta una sfida senza precedenti per la sicurezza europea, soprattutto considerando la frequenza e la molteplicità degli attacchi.
Un altro elemento di criticità riguarda la copertura radar e la capacità di distinguere le varie tipologie di droni impiegati. Nonostante la presenza di sofisticati sistemi di sorveglianza, come i radar volanti polacchi e italiani, la varietà dei dispositivi russi e la loro capacità di volare a bassa quota complicano la difesa e impongono continui adattamenti tattici.

Armi ad alto costo contro droni economici: un dilemma strategico
Il divario tra i costi dei sistemi d’arma è sempre più evidente. L’abbattimento di un drone con un missile lanciato da un F-16 comporta una spesa sproporzionata rispetto al valore del bersaglio. Un intercettore dei sistemi Patriot può costare oltre tre milioni di euro. In confronto, i droni russi Gerbera sono realizzati con budget estremamente ridotti, consentendo un impiego massiccio e ripetuto. L’ex generale polacco Jarosław Gromadziński ha paragonato questa situazione a «sparare a una mosca con un cannone» e ha sottolineato i rischi collaterali dovuti alla caduta di frammenti in aree civili.
Le capacità di monitoraggio sono messe alla prova dalle caratteristiche tecniche dei droni. I modelli Gerbera, simili ai Shahed-Geran impiegati in Ucraina, possono essere sia armati con esplosivi sia utilizzati per ricognizione con telecamere sofisticate. La loro bassa velocità (tra 100 e 130 km/h) obbliga i caccia supersonici a manovre insolite e rischiose, motivo per cui si ricorre anche all’uso di elicotteri per l’intercettazione. Questa evoluzione delle tattiche impone continui aggiornamenti delle procedure operative e degli strumenti a disposizione delle forze armate alleate. La combinazione di droni armati e non armati, impiegati in contemporanea, rappresenta un ulteriore ostacolo per i sistemi di difesa. La difficoltà di identificazione e la necessità di reagire in tempi rapidissimi mettono a dura prova la catena di comando e la prontezza operativa delle unità preposte alla sicurezza dello spazio aereo europeo.
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