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Garlasco, Stefania Cappa e la ‘lite’ coi carabinieri: cosa si scopre

Una telefonata dimenticata, un malumore che riemerge e uno scenario mai del tutto archiviato. Il caso Garlasco, che ha segnato con forza la cronaca nera italiana, torna a far parlare di sé grazie a una conversazione privata del 2008 mai emersa così nitidamente prima d’ora. Una voce femminile, stanca, tesa, si sfoga per un’irruzione che considera ingiusta, portando con sé riflessioni personali, accuse velate e un dolore ancora vivo.

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Il mistero dietro al delitto di Garlasco

Garlasco, piccolo comune in provincia di Pavia, è diventato tristemente noto il 13 agosto 2007, quando la ventiseienne Chiara Poggi fu trovata morta nella casa dei genitori. Un caso controverso, lungo e complesso, che ha visto processi, condanne e molti interrogativi mai completamente dissolti.

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Il ruolo delle gemelle Cappa

Stefania e Paola Cappa, gemelle e cugine strette di Chiara Poggi, non sono mai state indagate nel corso dell’inchiesta. Tuttavia, il loro nome comparve a margine delle indagini per via di una testimonianza poi smentita, che descriveva una ragazza con un oggetto ambiguo – “un piedistallo tipo da camino-canna da fucile con in testa una pigna” – vista in bicicletta in modo incerto proprio la mattina dell’omicidio.

L’informazione fu giudicata inattendibile dopo la ritrattazione del testimone, che ammise di aver inventato tutto. Eppure, l’attenzione su dettagli minori – una bici nera, scarpe, vestiti – continuò ad aleggiare per mesi.

Garlasco, la telefonata della gemella Cappa con il suo amico

La telefonata intercettata rispunta dopo anni

Ora, a distanza di anni, spunta una nuova testimonianza che riapre ferite e solleva curiosità: una telefonata del 12 febbraio 2008 intercettata dagli inquirenti, in cui Stefania Cappa, cugina della vittima, si lascia andare a un lungo sfogo. La frase che ha suscitato scalpore emerge nel corso di una conversazione tra Stefania Cappa e un amico, intercettata il 12 febbraio 2008. In quel dialogo, la cugina di Chiara Poggi racconta con amarezza l’arrivo dei carabinieri nella sua abitazione, giunti — secondo il suo resoconto — per recuperare un tutore ortopedico appartenente alla sorella gemella Paola, utilizzato dopo una caduta in bicicletta. Le sue parole sono rivelatrici di un disagio profondo, non solo per la perdita della cugina, ma anche per il senso di pressione vissuto dalla sua famiglia.

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