
L’autopsia eseguita su Gianpiero Demartis, il cinquantasettenne deceduto dopo un drammatico intervento dei carabinieri a Olbia, ha stravolto le prime ipotesi emerse subito dopo il tragico evento. Contrariamente a quanto era stato inizialmente suggerito, la causa della morte non è stata la scarica del taser. Le recenti analisi medico-legali hanno invece rivelato un quadro clinico ben più complicato, composto da patologie pregresse e fattori acuti sopraggiunti durante l’intervento.
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Il cuore malato e le condizioni pregresse
I risultati forniti dal consulente della Procura di Tempio Pausania indicano come elemento principale uno scompenso cardiaco su base di cardiopatia ischemica, aggravato dalla presenza di uno stent coronarico impiantato precedentemente. Si tratta di una diagnosi che pone l’accento sulle condizioni di salute preesistenti della vittima, modificando drasticamente la percezione delle responsabilità e delle dinamiche legate all’uso degli strumenti di contenimento da parte delle forze dell’ordine.
Le indagini, tuttora in corso, continueranno a chiarire le responsabilità e a fornire elementi utili per una valutazione trasparente e completa. Nel frattempo, il dibattito pubblico si anima, sollecitando riflessioni sulla sicurezza, la prevenzione e la formazione degli operatori impegnati in simili contesti.
Le cause cliniche e il ruolo delle sostanze assunte
Secondo il referto autoptico, il decesso di Demartis non è riconducibile esclusivamente a un singolo evento, ma a una serie di concause. Il dottor Salvatore Lorenzoni, consulente della procura, ha sottolineato la presenza di sostanze stupefacenti nell’organismo della vittima, anche se la loro esatta tipologia sarà confermata dagli accertamenti tossicologici. L’assunzione di droghe può determinare un aumento brusco della pressione sanguigna e un intenso stato di agitazione psicomotoria, elementi che, in presenza di una già compromessa funzionalità cardiaca, possono risultare fatali.
Non meno rilevante è la scoperta di una emorragia subaracnoidea e di un edema cerebrale, condizioni gravissime che possono insorgere sia come conseguenza di un trauma cranico sia in risposta a un repentino aumento della pressione arteriosa. Il medico legale ha evidenziato come tali lesioni possano essersi verificate durante le concitate fasi dell’immobilizzazione, ma anche a causa delle condizioni generali di salute del soggetto.
Dall’analisi del contesto emerge il ritratto di una persona particolarmente vulnerabile, il cui organismo è stato sottoposto a un insieme di fattori stressanti: la cardiopatia, l’assunzione di sostanze, lo stato di agitazione e le conseguenze fisiche dello scontro. Una sequenza, questa, che dimostra quanto sia difficile intervenire in situazioni di emergenza senza mettere a rischio la vita di chi già versa in condizioni precarie.
La vicenda mette in luce quanto sia fondamentale per le forze dell’ordine riconoscere tempestivamente i segnali di vulnerabilità e modulare l’intervento in base alle reali condizioni del soggetto. Allo stesso tempo, offre uno spunto per riflettere sulla necessità di aggiornare i protocolli di gestione dei soggetti in stato di alterazione psicofisica, integrando competenze sanitarie e strumenti di de-escalation.
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