
Non era il tipo da omaggi facili, ma la sua sparizione lascia un vuoto. Per decenni aveva intrecciato in modo unico l’inchiostro sulla pelle e la scena sul palco — due arti apparentemente distanti, che lui trasformava in una sola storia. E quando si diffonde la notizia della sua scomparsa, ci si accorge che con lui se ne va non solo un artista, ma un pezzo di storia.

Milano in lutto: addio al pioniere del tatuaggio
Era la fine degli anni Sessanta quando un giovane appassionato iniziava a tracciare segni sulla pelle, in un’Italia dove i tatuaggi erano ancora avvolti nello stigma e considerati un tabù. Nel 1967 muove i primi passi, in un contesto che oscillava fra l’esotico e l’emarginazione. Eppure quella idea, quella punta d’ago su pelle viva, avrebbe cambiato per sempre il volto di un’arte in divenire.
Col tempo, quell’artigiano “diverso” divenne punto di riferimento: la sua tenacia e il suo talento gli valsero il titolo non ufficiale di primo tatuatore d’Italia. Quando nel 1974 aprì uno studio in via Mercato, nel cuore di Brera a Milano, non stava inaugurando solo un locale — stava lanciando una sfida. Lo studio sarebbe diventato una casa per l’arte del tatuaggio, un laboratorio di creatività, un simbolo di rottura e liberazione.

Il teatro e le scene: un’altra pelle dell’arte
Ma non era abbastanza disegnare sulla pelle. Il suo sguardo si allargava al teatro, alle scene, ai costumi. Insieme a una generazione di artisti, nel 1972 contribuì a fondare il Teatro Franco Parenti, un luogo destinato a ridefinire la scena culturale milanese con audacia e originalità secondo quanto riporta Milano Today.
La sua sensibilità visiva, affinata anche negli studi al Liceo Artistico e all’Accademia di Brera, gli permise di portare nel teatro la stessa intensità con cui tracciava un tatuaggio. Così, scenografie e costumi divennero proiezioni della sua estetica unica — sospese tra provocazione e bellezza.
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