
Lutto nel mondo dello sport italiano, addio a una vera leggenda – Il giornalismo sportivo italiano perde una delle sue voci più riconoscibili e divisive. Un cronista che per decenni ha raccontato lo sport con passione dichiarata, ironia tagliente e una cifra stilistica che non ammetteva mezze misure. Un uomo che non si è mai nascosto dietro la neutralità di maniera, scegliendo invece di esporsi, prendere posizione e accettarne le conseguenze. Per chi ha seguito il calcio e lo sport tra gli anni Settanta e Novanta, la sua firma era sinonimo di carattere. Piaceva o infastidiva, raramente lasciava indifferenti. E proprio per questo è rimasta impressa nella memoria collettiva di lettori, tifosi e addetti ai lavori.

Lutto nel mondo dello sport italiano, addio a una vera leggenda
È morto Gianni Melidoni. Nato a Napoli ma romano d’adozione, iniziò giovanissimo la carriera giornalistica. Aveva poco più di vent’anni quando entrò nella redazione di un grande quotidiano della Capitale, dove avrebbe lavorato per gran parte della sua vita professionale, crescendo passo dopo passo fino a ricoprire incarichi di responsabilità. Era un giornalismo fatto di presenza, di osservazione diretta, di rapporti costruiti nel tempo. Un mestiere che si imparava stando sul campo, seguendo allenamenti, trasferte, spogliatoi. Negli ultimi anni si trasferì in un’altra storica testata romana, portando con sé lo stesso stile diretto e riconoscibile.
Parallelamente alla carta stampata, arrivò anche la televisione. E lì il suo volto, il tono della voce e la battuta pronta lo resero familiare al grande pubblico, soprattutto grazie alla partecipazione a uno dei programmi sportivi più popolari e discussi della tv italiana.

Il calcio come terreno naturale
Seguì undici edizioni dei Giochi Olimpici, un numero che da solo restituisce la vastità della sua esperienza. Ma fu nel calcio che Gianni Melidoni trovò il suo habitat naturale. Qui seppe raccontare non solo i risultati, ma le tensioni, le rivalità, le ingiustizie percepite, le passioni viscerali che rendono questo sport qualcosa di più di un semplice gioco. Fu testimone e narratore di due stagioni entrate nella storia del calcio romano: lo scudetto della Lazio del 1974 e quello della Roma del 1983. Due trionfi che seppe raccontare con trasporto evidente, senza mai fingere un distacco che non gli apparteneva. Le polemiche non mancarono mai. Spesso indirizzate contro le grandi squadre del Nord, altre volte contro dirigenti e commissari tecnici. Celebri le sue critiche per la mancata convocazione di Roberto Pruzzo ai Mondiali del 1982, una scelta che non smise mai di contestare apertamente.
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